Welfare aziendale e carte di debito: modalità di fruizione per fringe benefits detassati
Può essere considerata tra i “documenti di legittimazione” e consentire l'esclusione degli acquisti di beni e servizi dalla base imponibile IRPEF del reddito da lavoro dipendente secondo la disciplina dei “fringe benefits”, la carta di debito nominativa, aziendale, emessa da un apposito provider per far fruire ai dipendenti di un determinato pacchetto di beni nel limite del budget di spesa figurativo dallo stesso assegnato. Lo chiarisce la Risposta n. 5/2025 dell'Agenzia delle entrate confermando le modalità che consentono il rispetto dei limiti di legge.
Nel caso di specie, la carta non può essere utilizzata per fini diversi: non sarebbe quindi monetizzabile o convertibile in denaro, escludendo qualsiasi operazione in moneta e con divieto di utilizzo promiscuo, cioè con integrazione del budget di spesa figurativo e di risorse diverse, come denaro e/o moneta elettronica estranei alle politiche di welfare aziendale. La carta sarebbe, inoltre, nominativa, ossia utilizzabile unicamente dal dipendente, titolare della stessa, tramite un PIN personale o riconoscimento biometrico; la stessa non sarebbe cedibile a terzi o commercializzabile. Infine, la carta sarebbe utilizzabile esclusivamente presso gli esercizi commerciali aderenti al circuito del provider che svolgono attività d'impresa nei soli settori preventivamente individuati dall'Istante come potenziali erogatori di fringe benefit per i propri dipendenti.
Risulta quindi verificato quanto previsto dall’art. 51 commi 3 e 3bis del TUIR e dalla circolare 15 giugno 2016, n. 28/E in tema di “titoli di legittimazione” e voucher, tenendo conto dei vincoli di spesa conformi al massimale previsto dalla legislazione vigente in materia di fringe benefit (in linea generale 258,23 euro, ma aumentato per il periodo di imposta 2024 dal comma 16 dell'articolo 1 della legge 30 dicembre 2023) e delle modalità di utilizzo della carta presso un numero determinato di esercenti nei settori preventivamente individuati.
Pertanto il datore di lavoro, in qualità di sostituto d'imposta, sull'importo utilizzato dai propri dipendenti per l'acquisto dei beni e servizi previsti dal piano di welfare non è tenuto ad applicare la ritenuta a titolo d'acconto ai sensi dell'articolo 23 del decreto Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600.