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Utilizzo impianti sportivi: tra IVA ed esenzione

La Risposta n. 2/2025 (si veda anche precedente news) ha chiarito che la concessione del palazzetto dello sport ad una ASD non può fruire dell’esenzione IVA di cui all’art. 36bis del D.L. 75/2023 in quanto prestazione complessa e non strettamente connessa alla pratica sportiva.

La risposta conferma il trattamento fiscale con IVA per la concessione di impianti sportivi con la previsione di attività accessorie e non configurabili in stretta connessione con l’attività sportiva, quali in particolare l’autorizzazione a svolgere pubblicità, che consente di ritrarre un valore aggiunto sul piano economico ulteriore.

La stessa, tuttavia, apre alla possibilità di considerare esenti:

  • le prestazioni connesse alla pratica sportiva effettuate dagli enti locali che, per ipotesi, gestiscano direttamente le attività. Rientrano infatti tra gli “organismi senza fine di lucro” nei quali la norma comprende anche gli enti sportivi dilettantistici, ma non con elencazione tassativa;
  • le concessioni in uso di impianti e locali a favore di persone fisiche e soggetti ad essi equiparabili per la disciplina in oggetto, come le associazioni sportive "purché, in particolare, i loro beneficiari effettivi siano persone che esercitano lo sport" e purché le prestazioni siano qualificabili come “strettamente connesse con la pratica dello sport”.
    Quest’ultimo punto appare obiettivamente di difficile delimitazione, in assoluto e sul lato pratico, posto che per l’esenzione non è sufficiente il fatto di essere una associazione sportiva, ma, come evidenziato dalla Risposta, che si tratti di prestazione strettamente connessa alla (sola) pratica sportiva delle persone, escludendosi quindi nel caso vengano svolte altre attività, specialmente se a contenuto commerciale.

Nella pratica degli enti locali, frequentemente gli impianti sono dati in concessione con la previsione di servizi accessori e/o autorizzazione alla pubblicità. Questi già erano, solitamente, assoggettati ad IVA posto che il dubbio sussisteva non tanto sull’aliquota quanto, piuttosto, tra l'esclusione (ritenendo la concessione in ambito non commerciale, per esiguità proventi e/o modalità di concessione in uso) oppure l'imponibilità (nell'accezione di sfruttamento di un bene al fine di ritrarne proventi stabili, secondo la definizione comunitaria di attività economica), anche per salvaguardare il diritto alla detrazione sugli investimenti effettuati.

Tuttavia, non si esauriscono le fattispecie. Gli enti danno in uso locali e spazi a tariffe che, se ad uso sportivo, potrebbero rientrare nell’art. 36bis. Viene a mente, ad esempio, la concessione in uso delle palestre scolastiche (ipotesi di locali generalmente promiscui, dove non possono solitamente svolgersi prestazioni diverse da quelle autorizzate, né pubblicità). Parimenti, la situazione potrebbe verificarsi anche per impianti minori dove, per caratteristiche intrinseche, non vi sono convenzioni a contenuto complesso oppure risulta difficile individuare un utilizzo del bene non strettamente connesso con la pratica sportiva. Utilizzo diverso che, tuttavia, non si può escludere a priori.

Dovrebbe peraltro distinguersi sempre l'uso che si fa del locale. Potrebbe esserci ovviamente una limitazione a monte, a livello regolamentare, come no, dovendosi valutare caso per caso e/o istituendosi tariffe con regimi differenziati.

Allo stato appare quindi necessario considerare prudenzialmente le varie casistiche che si riscontrano nell’Ente, valutando le richieste che possono arrivare dalle associazioni e verificando la sussistenza dei requisiti per l’esenzione.

La fatturazione in esenzione porta con sé, tuttavia, la limitazione all’esercizio della detrazione, sia in relazione al pro rata (da valutare quindi la separazione delle contabilità) sia relativamente ad una eventuale rettifica della detrazione operata sugli investimenti, richiedendo quindi, nel caso, una (ri)valutazione complessiva della gestione di tali impianti.