TARI: quale tariffa applicare all’attività agrituristica
In data 20 maggio 2024 il Consiglio di Stato, con sentenza n. 4478, afferma che un Ente comunale, in fase di determinazione delle tariffe TARI 2015 e in caso di presenza sul proprio territorio di attività agrituristiche, aveva il dovere di prevedere una sottocategoria per tali attività, perché non potevano essere considerate, dunque tassate, come ad altre attività economiche.
La controversia esaminata nasce. dal ricorso presentato da una Azienda agrituristica (soggetto passivo TARI) che chiede l’annullamento della deliberazione della Giunta comunale, relativa all’approvazione delle tariffe TARI, nonché della delibera del Consiglio approvata successivamente, eccependo il fatto che l’Ente non avesse previsto una tariffa apposita da applicare alle aziende agrituristiche per l’anno di riferimento (TARI 2015).
Precisamente, la ricorrente contesta la mancata previsione di tariffe TARI per l’anno 2015 riferite specificamente all’attività agrituristica e la conseguente applicazione, di fatto, della tariffa stabilita per le utenze commerciali (non domestiche) per attività (camping, distributori di carburanti, impianti sportivi) non aventi nulla in comune con l’attività agrituristica, comunque riconducibile a quella agricola.
Il motivo del ricorso, ritenuto fondato dai giudici, evidenzia che nelle delibere in questione vi è la mancata previsione di una tariffa rifiuti “agevolata” per la specifica categoria di aziende cui appartiene la ricorrente e al contrario, nel caso di specie, la valutazione ed applicazione da parte dell’Ente della tariffa TARI stabilita per l’attività di campeggi, distributori e campi sportivi.
Il Consiglio di Stato, nelle proprie motivazioni, ha ricordato che “l’attività agrituristica è da considerare una specificazione dell’attività agricola e non un’attività assimilabile a quella alberghiera, diversa per finalità e regime. Oltre che la violazione delle disposizioni ivi citate, si assume che l’assimilazione dell’attività agrituristica ai campeggi, ai distributori di carburante e agli impianti sportivi, prevista dalle delibere comunali impugnate, sarebbe illogica, irragionevole e sproporzionata, pur dovendosi riconoscere che, producendo rifiuti urbani, resta assoggettata alla Ta.Ri”.
Evidenziamo che la Legge “quadro” n. 96/2006 prevede che l’attività agrituristica segua quanto stabilito dalla normativa per le attività agricole.
Infatti, all’art 2 della citata Legge “quadro” rubricato “Definizione di attività agrituristiche”, si legge: «Per attività agrituristiche si intendono le attività di ricezione e ospitalità esercitate dagli imprenditori agricoli di cui all'articolo 2135 del codice civile, anche nella forma di società di capitali o di persone, oppure associati fra loro, attraverso l'utilizzazione della propria azienda in rapporto di connessione con le attività di coltivazione del fondo, di silvicoltura e di allevamento di animali».
L’art. 2135, comma 3, del codice civile (introdotto dall’art. 1 d.lgs. 18 maggio 2001, n. 228), relativamente alla definizione di ”Imprenditore agricolo”, per quanto concerne le attività annesse all’attività di coltivazione del fondo, stabilisce che le attività di ricezione ed ospitalità possono essere considerate come tra le attività “connesse” all’attività agricola.
L’attività agrituristica ha un contenuto complesso, che comprende un’attività di produzione di beni e/o di servizi, il cui svolgimento attribuisce la qualità di imprenditore commerciale (ex art. 2195, comma 1, n. 1, c.c.), ma fonda la qualità di imprenditore agricolo per connessione, a seguito del collegamento con le attività agricole principale, ai sensi dell’art 2135 comma 3 del c.c.
Dunque, l’individuazione dell’attività agrituristica in quella agricola, disciplinata con la legge n. 730 del 1985, poi con il dlgs n. 228 del 2001 ed interamente regolamentata con la Legge n. 96 del 2006, è subordinato alla condizione che l’utilizzazione dell'azienda agricola a fine di agriturismo sia caratterizzata da un rapporto di complementarità rispetto all'attività di coltivazione del fondo, di silvicoltura e di allevamento del bestiame, che deve comunque rimanere principale (ovvero - secondo la dizione dell'attuale legge 20 febbraio 2006, n. 96 - "prevalente").
Il Consiglio di Stato è giunto ad affermare che all'attività di agriturismo, in quanto attività agricola, deve essere applicata la tariffa agricola corrispondente e non già quella per l'utenza alberghiera e, a tal fine, il giudice investito della relativa controversia può disapplicare le delibere della competente autorità che stabiliscano diversamente”, anche a fini tributari, tenendo la stessa distinta dalle attività alberghiere o equiparabili. Tutto ciò, in linea con le finalità dell’impresa agrituristica, quali delineate dall’art. 1 della legge “quadro”, nonché con la disciplina fiscale dell’art. 7, comma 2, che prevede che lo svolgimento dell’attività agrituristica nel rispetto delle disposizioni regionali in materia, autorizzato ai sensi dell’art. 6, comporta l’applicazione di disposizioni fiscali favorevoli (art. 5 della legge 30 dicembre 1991, n. 413) e comunque di ogni normativa settoriale, riconducibile all’attività agrituristica, e, in mancanza, delle norme previste per il settore agricolo.
Doveroso ricordare, sempre riferendoci alla TARI 2015, che applicando una tariffa differente e non adeguata, l’Ente sarebbe potuto incorre in violazione di legge ed eccesso di potere per non avere correttamente valorizzato e valutato la complementarietà dell’attività agrituristica rispetto all’attività agricola nonché il differente regime normativo e fiscale applicabile alle aziende agrituristiche rispetto ad altre utenze, ovvero per aver effettuato un’illegittima assimilazione ai fini Ta.Ri. tra aziende agrituristiche o altre aziende. (Violazione di legge: art. 2135 c.c.; L.n. 730/1985 per come sost. e mod. dalla L. 96/2006; L.R. 15/2008 – complementarietà dell’attività agrituristica a quella agricola e prevalenza attività agricola, differenze altre utenze commerciali);