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Spese di rappresentanza, serve il regolamento

La Corte Conti Lombardia, con delibera n. 102/2024 relativa ad istruttoria sul rendiconto comunale degli ultimi anni ha rimarcato, tra l'altro, l'assenza del regolamento comunale sulle spese di rappresentanza.

La Sezione evidenzia, in punto di diritto, che il controllo della Sezione regionale della Corte dei conti sulle spese di rappresentanza sostenute dagli enti locali trova fondamento nell’art. 16, comma 12, del D.L. 31 agosto 2011, n. 138, convertito nella legge 14 settembre 2011, n. 148, a tenore del quale “le spese di rappresentanza sostenute dagli organi di governo degli enti locali sono elencate, per ciascun anno, in apposito prospetto allegato al rendiconto di cui all’articolo 227 del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000. Tale prospetto è trasmesso alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti ed è pubblicato, entro dieci giorni dall’approvazione del rendiconto, nel sito internet dell’ente locale”.

Va anche ricordato che la giurisprudenza contabile definisce attività di rappresentanza quella che la P.A. svolge al fine di manifestare la propria immagine nei confronti dei terzi, per accrescere il proprio prestigio e conseguire i vantaggi che derivano dall’essere conosciuta o dall’intrattenere rapporti con gli organi di vertice o con gli organi rappresentativi di altri enti, in modo confacente alle proprie finalità istituzionali (per tutte, Sez. reg. contr. Molise, deliberazione n. 14/2023/VSG). Posto che, in linea generale, ogni attività della pubblica amministrazione è finalizzata al perseguimento di interessi determinati dalla legge (art. 97, comma 2, Cost.; art. 1, comma 1, legge 7 agosto 1990, n. 241), ne consegue che l’attività di rappresentanza non può che essere diretta al fine istituzionale, legislativamente riconosciuto, della creazione di utilità reputazionale per la pubblica amministrazione. Tale finalità risulta efficacemente delineata nella norma che individua i caratteri distintivi delle spese di rappresentanza: secondo l’articolo 92 d.P.R. 27 febbraio 2003, n. 97, infatti, “sono spese di rappresentanza quelle fondate sulla esigenza dell'ente di manifestarsi all'esterno e di intrattenere pubbliche relazioni con soggetti ad esso estranei in rapporto ai propri fini istituzionali. Esse debbono essere finalizzate, nella vita di relazione dell'ente, all'intento di suscitare su di esso, sulla sua attività e sui suoi scopi, l'attenzione e l'interesse di ambienti e di soggetti qualificati nazionali, comunitari o internazionali, onde ottenere gli innegabili vantaggi che per una pubblica istituzione derivano dal fatto di essere conosciuta, apprezzata e seguita nella sua azione a favore della collettività”. La norma conferma l’assunto secondo il quale non possono legittimamente afferire alla rappresentanza le elargizioni nelle quali non si rinvenga un fondato interesse dell’ente ad accrescere il proprio prestigio istituzionale nei confronti di “soggetti qualificati”. In mancanza del presupposto della rappresentanza come fin qui descritto, non può considerarsi la spesa come rispondente allo specifico interesse pubblico (Sez. reg. contr. Trento, deliberazione n. 81/2023/PRSE).

La giurisprudenza ha avuto modo di osservare, infatti, che se si ammettesse di ricondurre alle spese di rappresentanza quelle genericamente destinate alla cittadinanza o al quisque de populo - come si verifica, ad esempio, per la spesa per biglietti di augurio e condoglianze - dovrebbe riconoscersi che lo scopo di tali erogazioni si risolve nella manifestazione del prestigio dell’Ente nei confronti dei suoi stessi amministrati o in incertam personam e, dunque, in mera autoreferenzialità, concetto che si pone, tuttavia, in antitesi col fine essenziale della “rappresentanza”, che, come detto, va ricercato nell’esternazione, nei confronti di specifici terzi, del rilievo del gruppo amministrato (Sez. reg. contr. Molise, deliberazione n. 14/2023/VSG).

La giurisprudenza ha, inoltre, costantemente evidenziato i requisiti delle spese di rappresentanza nell’inerenza delle stesse alle finalità istituzionali dell’ente che le sostiene, nella coerenza delle stesse con i principi di imparzialità e di buon andamento, nella proporzionalità (o ragionevolezza) - con esclusione, pertanto, di quelle che esorbitino dalle strette esigenze segnate dal vincolo funzionale imposto alla pubblica amministrazione - nella congruità e sobrietà, nell’efficienza, economicità ed efficacia della spesa. Ciò posto, il Collegio invita l’Ente a informare le proprie spese di rappresentanza alle sopra richiamate coordinate di diritto, soprattutto qualora ritenga di procedere all’erogazione di liberalità.

Da ultimo, con riferimento all’opportunità che il Comune si doti di una disciplina interna che limiti la discrezionalità dei propri organi nel disporre tali spese, il Collegio richiama il consolidato orientamento della giurisprudenza contabile, il quale ha più volte evidenziato come, anche in ossequio al principio generale espresso dall’art. 12 della legge 7 agosto 1990, n. 241, “l’ente pubblico dovrebbe effettuare spese di rappresentanza non sulla base di contingenti valutazioni operate volta per volta, bensì partendo da obiettivi criteri predeterminati, in via generale, con riferimento ai fini specifici dell’amministrazione” (cfr., ex plurimis, Sez. reg. contr. Emilia Romagna Deliberazione n. 271/2013/VSGO).