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Somministrazione alimenti ed asporto: resta differente l'aliquota IVA

La Risposta n. 581/2020 conferma che l'aliquota IVA applicabile alla cessione e alla somministrazione di alimenti e bevande nel caso in cui, in luogo della consumazione in loco, si opti per l'asporto, è quella del bene ceduto e non quella del 10%. La fattispecie è particolarmente attuale e fa discutere: la richiesta di parere è stata formulata da una società che gestisce diversi ristoranti in franchising e che già ora prevede l'ordine tramite "chioschi" e la consumazione in loco o fuori, che ha introdotto, proprio per il contenimento dell'epidemia da Covid-19, l'utilizzo di applicazioni internet per la gestione dei tempi di attesa in coda da remoto e l'effettuazione degli ordini, con personalizzazione degli ingredienti.

La società ritiene applicabile l'aliquota IVA del 10% in quanto si tratta solamente di una diversa modalità di somministrazione degli alimenti e bevande nel quale è prevalente l'obbligazione del "fare" piuttosto che del "dare" (tipico dell'asporto).

Tuttavia, l'Agenzia è di parere opposto, sulla scorta di quanto chiarito dal principio di diritto n. 9 pubblicato il 22 febbraio 2019 e della Corte di giustizia, da ultimo, nella sentenza relativa alle cause riunite C 497/09, C 499/09, C 501/09 e C 502/09 del 10 marzo 2011.

Ai fini del corretto inquadramento fiscale, occorre distinguere la somministrazione di alimenti e bevande dalla cessione dei medesimi beni. La distinzione si rende necessaria in quanto, a differenza delle cessioni, il contratto di somministrazione di alimenti e bevande è inquadrato nell'ambito delle fattispecie assimilate alle prestazioni di servizi dall'articolo 3, comma 2, n. 4) del decreto IVA ed è caratterizzato dalla commistione di "prestazioni di dare" e "prestazioni di fare", elemento quest'ultimo che, ad esempio, distingue le prestazioni in esame dalle vendite di beni da asporto, che sono considerate a tutti gli effetti cessioni di beni, in virtù di un prevalente obbligo di dare (come chiarito peraltro anche dalla risoluzione n. 103 del 17 novembre 2016).

Mentre la "somministrazione di alimenti e bevande" è assoggettata all'aliquota del 10 per cento, ai sensi del n. 121) della Tabella A, Parte III, allegata al decreto IVA, la "cessione" dovrà scontare l'aliquota applicabile in dipendenza della singola tipologia di bene alimentare venduto.

Per l'Agenzia "La principale componente di servizi accessoria che può risultare dirimente per la qualificazione dell'operazione, come somministrazione di alimenti e bevande, sembrerebbe essere la possibilità di consumare presso il ristorante i prodotti acquistati, in linea con quanto disposto dall'articolo 6, paragrafo 1, del Regolamento di esecuzione (UE) n. 282/2011. In assenza di detto elemento e di ulteriori servizi aggiuntivi, infatti, l'operazione economica sembrerebbe configurare una vendita di beni da asporto".

Di conseguenza, "nell'ipotesi in cui gli alimenti e/o le bevande acquistate tramite l'Applicazione non vengano consumate presso il ristorante, prevalendo il carattere di asporto, costituiranno cessioni autonome di beni. Pertanto, anche alla luce della possibile coesistenza commerciale nello stesso locale delle attività di somministrazione e di vendita, gli alimenti e le bevande potranno essere forniti tanto nell'ambito di una più ampia prestazione di servizi di "somministrazione", quanto nell'ambito di una cessione nel caso della mera vendita da asporto; gli elementi qualificanti, come sopra descritti, andranno, dunque, valutati caso per caso.
In conclusione, nei casi di consumo dei prodotti presso i locali dell'Istante a seguito dell'ordine effettuato tramite l'Applicazione, si ritiene che l'operazione possa essere qualificata come una somministrazione di alimenti e bevande con applicazione dell'aliquota ridotta del 10 per cento prevista dal n. 121), della Tabella A, parte III, allegata al DPR 26 ottobre 1972, n. 633. Diversamente, nei casi di asporto dei prodotti, qualora il consumo non avvenga presso i locali dell'Istante, le cessioni degli alimenti e delle bevande devono essere valutate separatamente dal punto di vista dell'applicazione dell'IVA e assoggettate ciascuna all'aliquota propria (ridotta o ordinaria), dovendosi altresì escludere che una delle cessioni di beni inserite nella confezione configuri un'operazione principale, agli effetti dell'IVA, rispetto alle altre cessioni. A tal riguardo, preme infatti rammentare che, ai fini dell'IVA, in linea generale, un'operazione economica, che comprenda più elementi, deve essere considerata come costituita da diverse prestazioni e/o cessioni distinte e indipendenti che devono essere valutate separatamente (in tal senso, Corte di Giustizia dell'Unione Europea, sentenze del 29 marzo 2007, C-111/05, C-461/08, C-276/09), con eccezione delle operazioni complesse, in virtù della natura unitaria dell'operazione stessa (cfr. sentenza C-41/04), situazione che non si ravvisa nel caso in esame.
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Si tratta di un problema già emerso con la diffusione dei servizi di asporto per l'emergenza Covid - 19 e che rende particolarmente gravosa la gestione fiscale dell'attività di ristorazione "alternativa", nonché rischia il rincaro dei prezzi al consumo, posto che, proprio perché la cessione sconta l'aliquota propria del bene ceduto, ma si tratta di piatti composti, è applicabile quella prevalente o, in linea generale, l'imposta al 22%.

Su questo aspetto è altresì da segnalare che la Risposta si pone in contrasto con quanto recentemente affermato nell'interrogazione a risposta immediata del 18 novembre 2020 presso la Commissione Finanze della Camera, dove il sottosegretario al Ministero dell’Economia e delle Finanze aveva aperto alla possibilità di applicare l'IVA al 10% anche per l'asporto. A questo punto, tuttavia, è necessario un intervento normativo.