Se l'amministrazione non fissa gli obiettivi, il dirigente chiede il danno
Interessante Ordinanza della Corte di Cassazione, n. 5746/2024, in materia di retribuzione di risultato, che porta alla possibile richiesta, da parte del lavoratore, di danno per perdita di chance.
La retribuzione di risultato – rilevano i magistrati - ha natura squisitamente contrattuale ed è corrisposta dall’amministrazione una volta attivati i necessari passaggi negoziali contemplati dalla legge e consistenti nell’attribuzione delle responsabilità, nell’assegnazione degli obiettivi e nella determinazione dei parametri per definirne il raggiungimento (Cass., Sez. L, n. 11899 del 12 maggio 2017). Pertanto, occorre prendere atto che dall’astratta previsione di una retribuzione di risultato non può discendere, in capo al potenziale destinatario della stessa, un diritto soggettivo immediatamente esigibile. Da ciò, però, non può affermarsi che il compimento, da parte della P.A., delle attività necessarie per arrivare alla definizione degli obiettivi necessari perché il dipendente possa ricevere la retribuzione di risultato sia oggetto di una condizione potestativa. La detta P.A., infatti, ove la legge o la contrattazione collettiva la impegnino, come nella specie, ad agire in questo senso, ha l’obbligo di porre in essere tutte le attività preliminari all’individuazione dei menzionati obiettivi e, poi, una volta fatto ciò, di compiere le verifiche prodromiche alla concessione o al diniego della retribuzione di risultato. Nella gestione del rapporto con il lavoratore e nel compimento di siffatte azioni la P.A. deve rispettare i principi di correttezza e buona fede. Il dipendente, quindi, è titolare di un diritto verso la P.A. a che questa attribuisca le responsabilità, assegni gli obiettivi, determini i parametri per definirne il raggiungimento e, infine, compia le valutazioni necessarie.
Tutte queste attività non integrano una condizione di un qualche tipo, ma attengono all’adempimento di un’obbligazione. Finché non saranno completate, il dipendente non potrà azionare il suo diritto alla retribuzione di risultato e, dunque, non potrà chiedere siffatto adempimento. Infatti, la giurisprudenza ha già chiarito che, nell’ambito del pubblico impiego privatizzato, gli artt. 9 e 10 del CCNL del comparto Regioni-Autonomie Locali del 31 marzo 1999, attribuiscono ai dipendenti assegnatari di posizioni organizzative una retribuzione di risultato, la cui erogazione è subordinata alla valutazione positiva dell’Amministrazione circa il raggiungimento di obiettivi gestionali previamente programmati, sicché il lavoratore non può rivendicare il riconoscimento dell’emolumento, ove ometta di indicare l’obiettivo assegnatogli e l’avvenuto conseguimento dello stesso, senza che assuma rilievo, in tale evenienza, la mancata costituzione, da parte dell’ente, di un nucleo di valutazione del risultato (Cass., Sez. L, n. 10969 del 27 maggio 2015). Il dipendente, però, pur non potendo esercitare l’azione di adempimento, potrà, come giustamente affermato dalla Corte territoriale, dolersi della condotta inadempiente della P.A. e, così, chiedere il risarcimento del danno. Al riguardo, il creditore lavoratore dovrà dimostrare solo la fonte (negoziale o legale) del proprio diritto, limitandosi alla mera allegazione dell’inadempimento dell’amministrazione. A queste conclusioni si perviene applicando le ordinarie regole civilistiche sulla ripartizione dell’onere probatorio nelle obbligazioni contrattuali, così come delineate da consolidata giurisprudenza (da Cass., SU, n. 13533 del 30 ottobre 2001 in poi). Qualora dovesse risultare che la P.A. non abbia posto in essere alcuna attività alla quale era tenuta e, in questo caso, non abbia dedotto che non vi fossero ragioni obiettive per prevedere una retribuzione di risultato o non abbia allegato di essersi trovata nell’impossibilità di individuare gli obiettivi in esame per causa a lei non imputabile, essa sarà inadempiente rispetto al proprio obbligo di attivare il procedimento che avrebbe dovuto portare alla fissazione degli obiettivi in esame.
Il dipendente, allora, potrà chiedere non già una tutela in forma specifica - essendo la condotta menzionata oggetto di un facere discrezionale e infungibile dell’amministrazione - ma una mera tutela per equivalente, ossia risarcitoria. A sua volta, tale risarcimento non potrà che avvenire sub specie di risarcimento del danno da perdita di chance (Cass., Sez. L, n. 9392 del 12 aprile 2017).