Rinnovo affidamento in house: le censure dell’AGCM
Censurato dall’AGCM, nel parere n. AS1945 del bollettino n. 10/2024, il “rinnovo del contratto di affidamento del servizio di riscossione tributi” deliberato da un Ente locale in favore di propria società partecipata operante secondo il modello in house providing.
Due in particolare le criticità riscontrate dall’Autorità:
1) “la carenza assoluta di motivazione analitica in relazione alla modalità di affidamento scelta e alle ragioni del mancato ricorso al mercato, e alla mancata elaborazione della relazione sulla scelta della modalità di gestione del servizio pubblico locale”, in contrasto con le disposizioni dettate dall’art. 5 del D.lgs. 175/2016 e dagli artt. 14 e 17 del D.lgs. 201/2022.
In merito, inidoneo a dimostrare la preferibilità della soluzione individuata rispetto ad eventuali alternative e, quindi, tautologico è stato ritenuto quanto affermato dal Comune nella deliberazione consiliare n. 296 del 27 marzo 2023, ove si legge che “i tempi necessari per una eventuale esternalizzazione del servizio riscossione non possono essere contenuti in pochi mesi. Né sarebbe possibile procedere alla reinternalizzazione del servizio”. Allo stesso modo, non ha trovato consenso la giustificazione della razionalità economica dell’operazione basata sul “danno che l’alternativa del fallimento della società causerebbe all’Ente”, considerando che la società medesima si trova “da tempo in condizioni di crisi gestionale e finanziaria, avendo chiuso dal 2019 a oggi tutti gli esercizi in perdita e trovandosi attualmente in liquidazione per riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale consentito” e che proprio la mala gestio dell’attività di riscossione affidatale “costituisce il principale fattore di squilibrio di cassa del Comune”.
Offrendo una panoramica dei punti che l’Amministrazione avrebbe dovuto trattare, AGCM ha osservato come “il Comune avrebbe dovuto dimostrare i benefici per la collettività derivanti dal rinnovo dell’affidamento nei confronti” della società, “la capacità della Società di garantire, in via autonoma e per un adeguato lasso temporale, l’equilibrio economico-finanziario attraverso l’esercizio dell’attività affidata e l’impatto sulla finanza pubblica, anche in considerazione alla pregressa gestione (o meglio, mala gestio) in house, e degli effetti sortiti da tale pregressa gestione sulle finanze del Comune, attualmente in stato di dissesto finanziario. Inoltre, manca ogni valutazione sui costi e benefici attesi, o in riferimento alla funzionalità della soluzione rispetto alle esigenze e agli obiettivi dell’Amministrazione, o al corretto utilizzo delle risorse e delle risultanze del confronto con altre soluzioni gestionali.”
2) “la durata sostanzialmente indeterminata dell’affidamento”, in violazione dell’art. 19 del D.lgs. 201/2022.
Sotto tale secondo aspetto, l’Autorità ha ricordato che a norma dell’art. 19 del D.lgs. 201/2022 spetta all’Ente locale (o comunque all’ente competente) fissare la durata degli affidamenti di servizi pubblici locali di rilevanza economica “in funzione della prestazione richiesta, in misura proporzionata all’entità e alla durata degli investimenti proposti dall’affidatario e comunque in misura non superiore al periodo necessario ad ammortizzare gli investimenti previsti in sede di affidamento e indicati nel contratto di servizio, in conformità alla disciplina europea e nazionale in materia di contratti pubblici”. Inoltre, proprio in relazione agli affidamenti in house di servizi pubblici locali il legislatore ne ha disposto la durata massima in 5 anni, con la sola “eccezione del caso in cui l’ente affidate dia conto nella relazione sull’affidamento delle ragioni che giustifichino una durata più lunga (in funzione dell’esigenza di garantire l’ammortamento degli investimenti).”
In tal senso, l’indeterminatezza della durata dell’affidamento, anche nel caso del rinnovo, produce l’effetto di sottrarre “un bene economicamente contendibile alle dinamiche del mercato, ostacolando e ritardando il processo di apertura dei servizi pubblici locali al mercato, mediante il consolidamento in via automatica delle gestioni in essere e il contemporaneo ostacolo all’accesso ai nuovi operatori, determinando quindi una disparità di trattamento e discriminazione tra gli operatori economici.” Come osservato dal garante della concorrenza infatti, “La proroga estende … la durata del contratto, impedendo il ricorso a gestioni dei servizi pubblici locali maggiormente efficienti, per cui è essenziale che “lo strumento della proroga sia confinato a situazioni eccezionali ed imprevedibili non altrimenti gestibili”, tali cioè da non eccedere le reali esigenze delle amministrazioni, in un’ottica di necessarietà e proporzionalità, per consentire quanto prima il ricorso a strumenti idonei a favorire un utilizzo efficiente delle risorse pubbliche.”
Nel caso di specie, sebbene la durata del rinnovo sia stata fissata in cinque anni, quindi formalmente in osservanza della citata disposizione dell’art. 19, contraria alle dinamiche del mercato è risultata la precisazione “comunque sino al compimento della procedura concordataria”, la quale nei fatti, in assenza di un termine legislativo di durata massima delle procedure concordatarie e nell’impossibilità di prevederne con certezza le effettive tempistiche, “rischia di procrastinare la durata dell’affidamento oltre il termine di cinque anni legalmente consentito, rendendolo di fatto indeterminato.”