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Rilevanza IVA: l'importanza dello "scarto" tra costi e ricavi

La sentenza della Corte di Cassazione (Cass. 23.12.2022 n. 37731) ribadisce un principio noto, ma non di semplice applicazione negli enti locali, ovvero che al di là di quanto indicato in statuto o negli atti costitutivi o nella forma, occorre valutare concretamente se ed in che misura le operazioni, ai fini della loro rilevanza IVA, siano realizzate nell'ambito di attività economiche, a fronte di "corrispettivi".

Nel qualificare come "commerciale" l'attività di una fondazione (con ammissione della detrazione IVA anche in assenza di "contabilità separate ex art. 19ter del DPR 633/1972), la Cassazione statuisce il seguente principio di diritto:

«In caso di attività svolte da enti pubblici e privati, compresi i consorzi, le associazioni o altre organizzazioni senza personalità giuridica, la valutazione sulla esclusività o prevalenza dell'esercizio di attività commerciale o agricola va operata in concreto e non in astratto in base alle sole risultanze statutarie e formali, dovendosi valutare se e in quale misura le operazioni realizzate dall'ente: a) siano riconducibile alle attività economiche di cui dall'art. 4, par. 2, della direttiva n. 77/388/CEE (e, poi, all'art. 9 della direttiva n. 2006/112/CE), b) siano effettuate a titolo oneroso e c) comportino lo sfruttamento di un bene al fine di conseguirne introiti. Ai fini di tale verifica non rilevano né lo scopo perseguito dall'attività, né il conseguimento di risultati, mentre è necessario che: 1) sussista un nesso diretto tra la cessione di beni o la prestazione di servizi ed il corrispettivo realmente percepito dal soggetto passivo, ossia un rapporto giuridico nell'ambito del quale avvenga uno scambio di reciproche prestazioni; 2) l'attività sia diretta al conseguimento stabile di introiti, tenuto conto, a tale scopo, delle condizioni in cui è effettuata la prestazione in raffronto a quelle in cui essa viene di solito realizzata, dell'entità della clientela, dell'importo degli introiti, dei criteri di determinazione delle tariffe, dei compensi e/o dei prezzi praticati, nonché degli altri elementi pertinenti, sì da verificare se le somme percepite, ancorché di importo ridotto rispetto ai costi sostenuti, costituiscano un effettivo corrispettivo dotato di stabilità o siano assimilabili ad un canone, inidoneo a conferire carattere di economicità alla prestazione".

In particolare, ricorda la Corte di Cassazione: "In tal senso si è espressa la Corte (CGUE, Gemeente Borsele, punto 33) con riguardo ad una vicenda relativa ad un servizio di trasporto scolastico fornito da un Comune dietro versamento di "contributi", che, tuttavia, non erano dovuti da tutti gli utilizzatori ma solo da un terzo di essi, sicché ammontavano solo al 3% del totale dei costi di trasporto, mentre il saldo era finanziato con fondi pubblici, sicché «uno scarto del genere tra i costi di funzionamento e gli importi percepiti come corrispettivo per i servizi offerti è tale da suggerire che il contributo a carico dei genitori debba essere assimilato a un canone piuttosto che ad una retribuzione vera e propria». In termini analoghi (CGUE, Commissione CE c. Repubblica di Finlandia, punto 50) con riferimento ai servizi di consulenza giuridica prestati dietro parziale remunerazione da parte degli uffici di assistenza pubblica, dove la Corte ha rilevato che solo un terzo del lavoro di assistenza era parzialmente retribuito dai beneficiari, per un valore totale di 1,9 milioni di euro a fronte di spese lorde di gestione pari a 24,5 milioni di euro, sicché «lo scarto è tale da suggerire che la remunerazione parziale a carico dei beneficiari debba essere assimilata a un canone, la cui riscossione non conferisce da sola carattere economico ad una determinata attività, piuttosto che ad una retribuzione vera e propria».

Va evidenziato che tale "scarto" in realtà non va riferito all'onerosità o meno della prestazione (presupposto oggettivo), quanto piuttosto al fatto che si verifichi il presupposto soggettivo, ovvero l'esercizio di una attività "economica" in forma di impresa. Inoltre, non può darsi particolare valore alla distinzione tra canone e corrispettivo posto che, ai fini IVA, i due termini non danno, di per sé, origine a trattamenti fiscali differenziati dovendo appunto valutare la singola fattispecie.