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Rifiuto di fatture in scissione dei pagamenti: sanzioni solo in capo alla PA per il mancato versamento dell'IVA

La Risposta n. 109/2020   Agenzia delle Entrate pone l'accento sull'applicazione delle sanzioni  in caso di rifiuto di fatture da parte di pubbliche amministrazioni, soggette alla scissione dei pagamenti.
La questione nasce da una fattispecie particolare, ovvero la fornitura di materiali per l’illuminazione notturna dell’aeroporto di proprietà pubblica, che configura una mera cessione di beni e non può rientrare nel regime di non imponibilità Iva che si applica solo alle prestazioni di determinati servizi (articolo 9, primo comma, n. 6), Dpr n. 633/1972). Tuttavia, il committente pubblico avrebbe indotto in errore la società, facedo scattare una verifica fiscale, chiedendole di fatturare le cessioni in regime di non imponibilità Iva e rifiutando di accettare le fatture trasmesse dalla società in via telematica in regime di scissione dei pagamenti (articolo 17-ter, comma 1, del DPR 633/1972). 
L'Agenzia, una volta chiarita la corretta applicazione dell'IVA, ed in specie in scissione dei pagamenti, alla fattispecie, richiama le sue precedenti circolari sullo split payment (cfr. circolari n. 15/E del 2015 e n. 27/E del 2017), specificando che il meccanismo della scissione dei pagamenti - che è una misura antifrode - non fa venire meno in capo al fornitore la qualifica di debitore dell'imposta in relazione alle operazioni dallo stesso effettuate.
Il fornitore è quindi tenuto ad emettere fattura con l'indicazione "scissione dei pagamenti" o "split payment", pena l'applicazione della sanzione amministrativa di cui all'articolo 9, comma 1, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471. Per questi, la fattura si considera trasmessa e ricevuta dalle amministrazioni a fronte del rilascio della ricevuta di consegna dal SDI, senza che rilevi, quindi, l'eventuale successivo scarto del documento da parte della PA. 
Le Amministrazioni, invece, sono responsabili del versamento dell'imposta addebitata: di conseguenza, l'omesso o ritardato adempimento del versamento all'Erario (per conto del fornitore) da parte delle stesse è sanzionato ai sensi dell'articolo 13 del decreto legislativo n. 471 del 1997.
L'Amministrazione ricorda poi che la nuova lettera g-ter) dell'articolo 1, comma 213, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, introdotta dall'articolo 15-bis del D.L. n. 119 del 2018, al fine di evitare rigetti impropri e di armonizzare le modalità di rifiuto con le regole tecniche del processo di fatturazione elettronica tra privati, ha demandato ad un apposito decreto del Ministro dell'economia e delle finanze (non ancora emanato) l'individuazione delle cause che possono
consentire il rifiuto delle fatture stesse, nonché le modalità tecniche con le quali comunicare tale rifiuto al cedente/prestatore.
Il rifiuto delle fatture è, quindi, ancora lasciato scoperto della normativa e deve essere funzionale solo ad evitare di acquisire in contabiltà fatture errate per ragioni che non consentono il pagamento (in primis emissione verso il soggetto sbagliato o assenza del codice CIG e CUP) e diverse da quelle che danno diritto all'emissione di una nota di variazione ai sensi dell'art. 26 del DPR 633/1972.
Tra questi rientrano errori negli elementi dell'art. 21 del DPR 633/1972, tra cui rientrano l'aliquota e l'imponibile, ma non sussiste un obbligo in capo al cessionario/committente di controllare e sindacare le valutazioni giuridiche espresse dall’emittente medesimo (principio espresso dalla Cassazione sulla responsabilità in caso di omessa autofatturazione, in presenza di operazioni irregolari), seppur vi siano consenguenze da tener conto nel caso di errore nell'aliquota applicata (es. per l'esercizio della detrazione). Ciò non esclude il controllo e la regolarità della fattura (previsto dall'art. 184 c. 4 del TUEL), che deve avvenire però con la normale diligenza, senza sostituirsi al ruolo dell'amministrazione finanziaria. 
In questo caso, è però sorto un "conflitto" tra le parti sulla corretta interpretazione del regime IVA applicabile, che si riflette anche sulla spesa a carico dell'Ente.
La risposta dell'Agenzia delle entrate pone quindi degli interrogativi sulla responsabilità "in ogni caso" (v. art. 17ter c. 1 DPR 633/1972) dell'Amministrazione sull'imposta addebita in rivalsa dal fornitore, in specie per fatture rifiutate che, per la PA, praticamente non esistono, ed anche nel caso in cui ci sia una contestazione - fondata - sull'imposta addebitata.
Il principio espresso dall'Amministrazione finanziaria è corretto, ma va tenuto presente che per le amministrazioni ed i soggetti tenuti alla ricezione di fatture in split payment, l'IVA si considera esigibile, in linea generale, al momento del pagamento del fornitore (art. 3 Decreto 23/1/2015). Si innesta quindi un corto circuito nella situazione descritta nell'interpello, perché al rifiuto dell'amministrazione si collega, ovviamente, il mancato pagamento della fattura stessa e quindi l'IVA resta sospesa senza però, a questo punto, che le sanzioni possano essere comminate in capo al fornitore, dato che questi ha, correttamente, emesso la fattura in regime di split payment, mentre è dubbia la sorte della PA, che potrebbe comunque, dal punto di vista civilistico, essere chiamata a pagare, non essendoci elementi per rifiutare la fattura..