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Ridotta copertura dei costi e entrate saltuarie escludono rilevanza IVA

Interessante sentenza della Corte di Giustizia europea Sez. VII 30/03/2023, n. 612 sull'assoggettamento ad IVA delle attività degli enti locali, affrontando la conclusione di un contratto di partenariato tra un Comune (polacco) con alcuni dei suoi abitanti per l'installazione di impianti di fonti di energie rinnovabili sui loro beni immobili, dietro corrispettivo economico da parte di tali abitanti.

Analizzata l'operazione e acclarata la rilevanza IVA del rapporto tra Comune e impresa appaltatrice degli interventi, la Corte di giustizia analizza il rapporto tra il Comune ed i cittadini.

Va premesso che, sulla questione, era stata interessata l'amministrazione finanziaria polacca tramite interpello e che il caso si presenta complesso. Il comune ha stipulato con una comunità urbana e due altri comuni un accordo di partenariato, beneficiando un finanziamento pubblico pari al 75%. La restante parte è finanziata in maniera autonoma e, nel caso di specie, il Comune ha chiesto un contributo agli abitanti pari al 25% dei costi sovvenzionabili. La proprietà degli impianti resta al Comune per cinque anni, per poi passare al proprietario dell'immobile nel quale è installato.

L'amministrazione finanziaria ha considerato l'attività rilevante IVA, considerando il Comune come "soggetto passivo IVA". La decisione è stata contestata, ma confermata dal giudice nazionale e rinviata quindi, in secondo grado, alla Corte di giustizia europea.

Sul punto, la Corte precisa che: "dagli elementi forniti dal giudice del rinvio emerge che il Comune di O. si limita a proporre ai propri residenti proprietari di beni immobili che possono essere interessati a FER, nell'ambito di un programma regionale destinato a favorire la transizione verso un'economia a basse emissioni di carbonio, la fornitura e l'installazione di tali FER a casa loro per il tramite di un'impresa selezionata all'esito di una gara d'appalto, dietro versamento di una partecipazione da parte loro che non supera il 25% dei costi sovvenzionabili legati a tale fornitura e a tale installazione, mentre, per tali medesime fornitura e installazione, tale comune remunera l'impresa in questione al prezzo di mercato. 38 Orbene, la Corte ha già avuto l'occasione di dichiarare che, quando un comune recupera attraverso i contributi che riceve soltanto una minima parte dei costi sostenuti, mentre il saldo è finanziato da fondi pubblici, uno scarto del genere tra i costi e gli importi percepiti come corrispettivo dei servizi offerti è tale da suggerire che tali contributi debbano essere assimilati a un canone piuttosto che a una remunerazione (v., in tal senso, sentenza del 12 maggio 2016, Gemeente Borsele e Staatssecretaris van Financiën, C-520/14, EU:C:2016:334, punto 33 e giurisprudenza ivi citata). Di conseguenza, anche prendendo in considerazione i pagamenti assegnati al Comune di O. dal voivodato interessato, che riguardano il 75% dei costi sovvenzionabili, il totale delle somme percepite da parte dei proprietari interessati, da un lato, e da tale voivodato, dall'altro, resta strutturalmente inferiore al totale dei costi effettivamente sostenuti da tale comune, come è stato indicato al punto 31 della presente sentenza, il che non corrisponde all'approccio che avrebbe adottato un installatore di FER, il quale si sarebbe sforzato, mediante la fissazione di prezzi, di assorbire i suoi costi e di trarre un margine di profitto. Al contrario, detto comune assume soltanto il rischio di perdite, senza avere una prospettiva di profitto. 39 Infine, non appare economicamente sostenibile, per un siffatto installatore di FER, far sopportare ai beneficiari delle sue cessioni di beni e delle sue prestazioni di servizi, solo un quarto, al massimo, dei costi da esso sostenuti, rimanendo al contempo in attesa di una compensazione, mediante sovvenzione, della maggior parte dei tre quarti restanti di tali costi. Non soltanto un meccanismo del genere porrebbe le sue finanze in una situazione strutturalmente deficitaria ma, inoltre, farebbe gravare sullo stesso un'incertezza inusuale per un soggetto passivo, poiché la questione se e in quale misura un terzo rimborserà una parte così rilevante dei costi sostenuti resterebbe effettivamente aperta fino alla decisione di tale terzo, successiva alle operazioni di cui trattasi. 40 Di conseguenza" conclude il giudice "fatta salva la verifica da parte del giudice del rinvio, non appare che il Comune di O. svolga, nella specie, un'attività avente carattere economico, ai sensi dell'articolo 9, paragrafo 1, secondo comma, della direttiva 2006/112".

L'assenza di una attività economica, ovvero del presupposto soggettivo, esclude la necessità di verificare che il Comune agisca o meno in veste di pubblica autorità.

In conclusione, la Corte precisa che "Alla luce delle considerazioni che precedono si deve rispondere alla prima questione dichiarando che l'articolo 2, paragrafo 1, l'articolo 9, paragrafo 1, e l'articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2006/112 devono essere interpretati nel senso che la fornitura e l'installazione di FER da parte di un comune, per il tramite di un'impresa, a favore dei propri residenti proprietari che hanno manifestato l'intenzione di dotarsi di tali impianti, non costituisce una cessione di beni e una prestazione di servizi assoggettata ad IVA, allorché un'attività del genere non è diretta all'ottenimento di introiti aventi carattere di stabilità e dà luogo, da parte di tali residenti, solo ad un pagamento che copre al massimo un quarto delle spese sostenute, mentre il saldo è finanziato da fondi pubblici".

Va evidenziato quindi che il limite del 25% delle risorse private a finanziamento di una attività è un limite che, nella prassi operativa, riguarda diverse attività degli enti locali, anche dichiaratamente assoggettate ad IVA sin dalla circolare 18/1976. In precedenza, la Corte si era espressa in materia di trasporto alunni, dove però il contributo all'utenza era solo del 3%. L'importanza dello "scarto" tra costi e ricavi è stata, in ogni caso, recentemente evidenziata anche dalla Corte di Cassazione italiana (si veda precedente news), anche se non convince - dovendo essere letto assieme ad altri indici - il passaggio nel quale la Corte accenna al fatto che "...detto comune assume soltanto il rischio di perdite, senza avere una prospettiva di profitto". L'attività economica va infatti assunta di per sé a prescindere dagli scopi, ben contemplando ipotesi di mancato profitto o di costi superiore ai ricavi, purché in rapporto di corrispettività con il servizio reso.