Revoca presidente del consiglio comunale
Il Ministero dell’Interno ha pubblicato oggi parere (n.16986 del 9.6.2023) in merito alla revoca del presidente del consiglio comunale, che non può che essere causata dal cattivo esercizio della funzione e deve essere motivata, perciò, con esclusivo riferimento a tale parametro e non al venir meno del rapporto di fiducia. In particolare, il Ministero dell’Interno ha evidenziato quanto segue:
Si fa riferimento alla nota con la quale una Prefettura ha segnalato di essere stata interessata da parte del sindaco e dei consiglieri di maggioranza del Comune di … con riferimento alla condotta asseritamente non imparziale del presidente del consiglio comunale. Al riguardo, si rappresenta che l'eventuale istituto attivabile nella fattispecie - che compete al solo consiglio comunale - è rappresentato dalla revoca del presidente del consiglio, qualora ne ricorrano i presupposti.
Dall'esame dello statuto e del regolamento del consiglio, tuttavia, tale istituto non risulta essere stato previsto dal comune, né risulta disciplinato dal decreto legislativo n.267/2000. Con riferimento alla questione della ammissibilità della revoca del presidente del consiglio, in assenza di una specifica norma statutaria che la preveda, occorre dare conto della giurisprudenza sul punto. Il TAR Campania, con sentenza n.2174 del 2017, ha richiamato il consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa siciliana, secondo cui l'istituto della revoca del presidente del consiglio comunale può essere contemplato solo in ragione di una specifica previsione statutaria (cfr. Cons. giust. amm. sic., sez. giur., n.1175/2007; TAR Sicilia-Palermo, sez.I, n.2019/2007; Catania, sez.III, n.1304/2011; sez.I, n.1326/2015; n.1653/2015). D'altro canto, il citato TAR Campania non ha ritenuto di aderire a tale indirizzo ed ha osservato come "l'assenza di apposita previsione statutaria non può tradursi in una sorta di inamovibilità assoluta o quasi assoluta del Presidente del Consiglio comunale (cfr. TAR Veneto, Venezia, sez.I, n.334/2010), pur in presenza di condotte palesemente arbitrarie, contrarie ai relativi doveri istituzionali, rispetto alle quali l'organo assembleare si troverebbe sprovvisto del più efficace e incisivo rimedio, costituito dalla rimozione dalla carica in parola e volto, in ultima analisi, a scongiurare la propria paralisi funzionale …". Nella medesima sentenza è stato osservato, inoltre, che "d'altronde, non può negarsi, alla luce del principio del contrarius actus, la possibilità per il Consiglio comunale di addivenire alla revoca dell'incarico de quo: se, cioè, all'organo assembleare spetta per legge (art.39, comma 1, del d.lgs. n.267/2000) la designazione del proprio Presidente, al medesimo non può non spettare, specularmente, la rimozione di quest'ultimo (cfr. TAR Lazio, Roma, sez.II, n.710/2010)".
Sullo stesso argomento il TAR Lombardia, con sentenza n.3150 del 2011, aveva ritenuto che "la legge statale, che non prevede l'istituto della mozione di sfiducia nei confronti del presidente del consiglio, se da un lato non viene con ciò a sancirne l'irrevocabilità, dall'altro esclude che alla base di essa possa porsi la rottura di un rapporto fiduciario con la maggioranza, la cui sussistenza è denegata in origine. La revoca, in armonia con la scelta compiuta a livello nazionale, potrà invece seguire alla persistente violazione dei compiti di garanzia assegnati al presidente, o comunque alla compromissione del profilo di neutralità che ad essi è consustanziale. Posta in simili termini la questione, ben si comprende come si sia anche potuto sostenere che tale revoca possa essere approvata dal consiglio, quand'anche essa non sia contemplata dallo statuto (in questo senso, TAR Lazio sentenza n.8881/2008; id. n.710/2010), al quale, invece, altra parte della giurisprudenza si rivolge, per trovarvi il fondamento del relativo potere (TAR Catania n.12304/2011) ex multis si richiamano altresì la sentenza TAR Toscana, sez.II, sentenza 16 febbraio 2023, n.162 e TAR Sicilia, sez.II, sentenza del 16 marzo 2022, n.759.
Premesso il quadro giurisprudenziale richiamato, si evidenzia che la revoca del presidente del consiglio non può che essere causata dal cattivo esercizio della funzione, in quanto ne sia viziata la neutralità, e deve essere motivata, perciò, con esclusivo riferimento a tale parametro e non al venir meno del rapporto di fiducia che non sfoci in comportamenti che compromettano la terzietà del suo ruolo. (cfr. Consiglio di Stato, sez.V, n.1983 del 1999; Consiglio di Stato, sez.V, n.3187 del 2002; TAR Lazio n.14142 del 2020). Quanto all'ulteriore questione posta dal segretario generale in ordine ai poteri presidenziali di convocazione del consiglio come disciplinati dal d.lgs. n.267/2000 e dall'art.20 dello statuto comunale, si concorda con le considerazioni formulate da codesta Prefettura. In base alla richiamata previsione statutaria sembrerebbe, infatti, precluso al presidente il potere di fissare l'ordine del giorno dei lavori senza il preventivo coinvolgimento del sindaco.