Quale categoria catastale attribuire ad una casa di cura
Con la sentenza n. 29542 del 15 novembre 2024, la Corte di Cassazione ha chiarito che un fabbricato destinato a casa di cura, anche se posseduto da una Onlus, può avere l’attribuzione in catasto della categoria D/4.
Nel caso analizzato, l’Agenzia delle Entrate aveva proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado Lombardia – sezione staccata di Brescia il 30 giugno 2020, n. 1427/26/2020, la quale, in controversia avente ad oggetto l’impugnazione di due avvisi di accertamento con rettifica di classamento (sostituzione della categoria da B/1 a D/4) e di rendita su due fabbricati in possesso di una Fondazione, uno in relazione ad un fabbricato adibito a casa di cura e l’altro adibito a servizi socio-sanitari-assistenziali aveva rigettato l’appello proposto dalla medesima nei confronti della Fondazione avverso la sentenza depositata dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Bergamo il 20 aprile 2016, n. 230/10/2016, con compensazione delle spese giudiziali.
Infatti, nel secondo grado di giudizio, i giudici avevano confermato la decisione di prime cure “sul presupposto che la carenza di finalità lucrativa delle attività svolte (in ragione dell’appartenenza a fondazioni e della copertura pubblica del costo dei servizi erogati) escludesse il classamento dei fabbricati in categoria D/4”.
Il ricorso viene affidato ad un unico motivo, con il quale si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 10 della legge 11 agosto 1939, n. 1249, 4, 6, 8 e 10 del r.d.l. 13 aprile 1939, n. 652, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., “per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di appello che l’insussistenza dello scopo di lucro nelle attività svolte dalle contribuenti (con la copertura pubblica del costo dei servizi erogati) giustificasse la classificazione in categoria B/1 (e non in categoria D/4) dei fabbricati adibiti a residenza assistenziale di persone anziane bisognevoli di cure e terapie non effettuabili a domicilio”.
A tal proposito la Corte Suprema ha ribadito che: «Tale immobile, inoltre, per le caratteristiche oggettive e tipologiche deve essere necessariamente classificato nel gruppo delle categorie speciali e non ordinarie: esso, infatti, non può considerarsi né un ospizio, né un ricovero, dal momento che si caratterizza per essere una residenza assistenziale e sociosanitaria. Un ospizio e un ricovero sono, infatti, luoghi in cui sono ricoverati gratuitamente i poveri, gli anziani, gli orfani e non possono considerarsi coincidenti con le moderne strutture di assistenza socio-sanitaria»;
«(...) l’immobile ove si svolge un’attività assistenziale e socio-sanitaria, qual è quello delle Fondazioni e Casa di Ricovero , presenta le caratteristiche oggettive e tipologiche di un immobile appartenente ad una categoria speciale indipendentemente dalla natura giuridica del soggetto che lo possiede, stante il pagamento da parte degli assistiti di un corrispettivo e la circostanza che risulta essere costruito e adibito ad esigenze di un’attività commerciale, non suscettibile di altra destinazione senza radicali trasformazioni»;
«La qualifica di un ente non è elemento né sufficiente né idoneo per il corretto accatastamento dell’immobile: tale assunto si rinviene anche dall’autonomia della normativa catastale rispetto alla normativa in materia di agevolazioni fiscali»;
«Nel nostro ordinamento l’eventuale assenza di fine di lucro può comportare il riconoscimento di agevolazioni fiscali, ma non può rivestire alcuna rilevanza in sede di attribuzione della categoria catastale»
I giudici hanno ricordato, altresì, che l’art. 61 del d.P.R. 1 dicembre 1949, n. 1142 (portante il «Regolamento del nuovo catasto edilizio urbano») recita: «Il classamento consiste nel riscontrare, con sopraluogo per ogni singola unità immobiliare, la destinazione ordinaria e le caratteristiche influenti sul reddito e nel collocare l'unità stessa in quella tra le categorie e classi prestabilite per la zona censuaria a norma dell'art. 9 che, fatti gli opportuni confronti con le unità tipo, presenta destinazione e caratteristiche conformi od analoghe. Le unità immobiliari urbane devono essere classate in base alla destinazione ordinaria ed alle caratteristiche che hanno all'atto del classamento»; a norma del successivo art. 62 del medesimo decreto: «La destinazione ordinaria si accerta con riferimento alle prevalenti consuetudini locali, avuto riguardo alle caratteristiche costruttive dell'unità immobiliare».
Si aggiunga che già in precedenza la stessa Corte di Cassazione aveva affermato che “il provvedimento di attribuzione della rendita catastale di un immobile è un atto tributario che inerisce al bene che ne costituisce l'oggetto, secondo una prospettiva di tipo "reale", riferita alle caratteristiche oggettive (costruttive e tipologiche in genere), che costituiscono il nucleo sostanziale della c.d. "destinazione ordinaria", sicché l'idoneità del bene a produrre ricchezza va ricondotta, prioritariamente, non al concreto uso che di esso venga fatto, ma alla sua destinazione funzionale e produttiva, che va accertata in riferimento alle potenzialità d'utilizzo purché non in contrasto con la disciplina urbanistica.”
Ed ancora che, in tema di rendita catastale, nell'ipotesi in cui l'immobile per le proprie caratteristiche strutturali rientri in una categoria speciale, non assume rilevanza la corrispondenza rispetto all'attività in concreto svolta all'interno dello stesso che può costituire, ove ricorrente, mero elemento rafforzativo della valutazione oggettiva operata.
Pertanto, ai fini della classificazione di un immobile, occorre guardare alle caratteristiche strutturali dell'immobile stesso e non alla condizione del proprietario ed al concreto uso che questi ne faccia (Cass., Sez. 5^, 14 ottobre 2020, n. 22166)”.
Nelle proprie argomentazioni, i giudici della Suprema Corte, hanno posto attenzione “al fine di lucro che merita di essere preso in considerazione, in quanto espressamente previsto come criterio di classificazione per numerose categorie, ma in termini oggettivati, nel senso che se ne richiede una verifica che ne ricerchi la sussistenza desumendola dalle caratteristiche strutturali dell'immobile, irreversibili se non attraverso modifiche significative, e non si arresti quindi al tipo di attività che in un determinato momento storico vi viene svolta, che può costituire un criterio complementare ma non alternativo o esclusivo ai fini del classamento (Cass., Sez. 5^, 6 febbraio 2019, n. 34002 - analogamente: Cass., Sez. 5^, 3 luglio 2020, n. 13666; Cass., Sez. 5^, 2 febbraio 2021, n. 2249; Cass., Sez. 5^, 9 novembre 2021, n. 32868; Cass., Sez. 5^, 18 aprile 2023, n. 10242).
Per l’individuazione della corretta categoria cui ascrivere le unità immobiliari speciali o particolari, le circolari emanate dall’Agenzia del Territorio il 16 maggio 2006, n. 4/T, ed il 13 aprile 2007, n. 4/T, hanno precisato che occorre procedere a «un corretto esame preliminare delle caratteristiche degli immobili in questione, finalizzato, da un lato, a verificare l’assenza dei requisiti per l'attribuzione di una delle categorie dei gruppi ordinari e, dall'altro, ad attribuire la categoria speciale o particolare più rispondente alle caratteristiche oggettive dell’immobile (…)».”
Dunque, la Corte ha affermato che, ai fini dell’attribuzione della categoria catastale, è elemento decisivo la natura oggettiva del bene essendo rispetto ad esso del tutto indifferente la qualifica soggettiva del titolare dello stesso che, diversamente, laddove assumesse qualsivoglia rilievo, eluderebbe la ratio posta a fondamento della disciplina del catasto, fondata sulla potenzialità di produrre reddito dei singoli immobili, che va ricondotta, prioritariamente, non al concreto uso che di essi venga fatto, ma alla loro destinazione funzionale e produttiva, che va accertata in riferimento alle potenzialità d'utilizzo purché non in contrasto con la disciplina urbanistica.