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Pubblico impiego: progressione economica interna e discriminazione di genere

La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, con ordinanza n. 4313 del 19 febbraio 2024, è tornata a trattare il tema della discriminazione indiretta per motivi di genere in particolare relativamente alla selezione per la progressione interna ed il passaggio a una migliore fascia retributiva dei dipendenti dell’Agenzia delle Entrate.

Il caso esaminato dal Giudice di legittimità muove dalla vicenda in cui una dipendente dell'Agenzia delle Entrate conveniva in giudizio la medesima Amministrazione ed il collega controinteressato denunciando la discriminazione subita quale donna impiegata a tempo parziale nell’ambito di una selezione per la progressione economica.

La Suprema Corte ha in primo luogo ricordato la nozione di “discriminazione indiretta” e cioè “qualsiasi disposizione, criterio, prassi, atto, patto o comportamento che metta, di fatto, "i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a lavoratori dell'altro sesso" osservando come, secondo il dato normativo, non debba trattarsi “di comportamenti o atti illeciti o discriminatori anche sotto altro profilo” ma debba essere dato rilievo “soltanto al risultato finale della discriminazione, da apprezzare sul piano della realtà sociale e non solo delle forme giuridiche”.

La Sezione Lavoro, pertanto, ha confermato la sentenza del Giudice di merito il quale, mediante dati statistici, aveva osservato che la “stragrande maggioranza” dei dipendenti dell'Agenzia delle Entrate che chiedono di usufruire del part-time sono donne e che “svalutare il part-time ai fini delle progressioni economiche orizzontali (ovverosia progressioni economiche non legate ad avanzamenti di carriera, ma comunque meritate, secondo parametri che includono anche l'anzianità di servizio) significa, nei fatti, penalizzare le donne rispetto agli uomini con riguardo a tali miglioramenti di trattamento economico.

La Cassazione, inoltre, a fondamento della decisione aggiunge che “la preponderante presenza di donne nella scelta per il lavoro a tempo parziale è da collegare al notorio dato sociale del tuttora prevalente loro impegno in ambito familiare e assistenziale, sicché la discriminazione nella progressione economica dei lavoratori part-time andrebbe a penalizzare indirettamente proprio quelle donne che già subiscono un condizionamento nell'accesso al mondo del lavoro”.

Concludendo, il Giudice, al fine di verificare l’esistenza di una discriminazione indiretta di genere, a fronte delle risultanze dei dati statistici, deve considerare l’insieme dei lavoratori assoggettati alla disposizione, criterio, atto, fatto o prassi posto alla sua attenzione e che potrebbe causare disparità tra i due generi, avendo poi riguardo della proporzione tra dipendenti di sesso maschile e di sesso femminile che eventualmente potrebbero essere negativamente colpiti dalla disparità di trattamento.