Processo tributario - Quando le spese di lite possono essere compensate
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 23592 del 3 settembre scorso, ha pronunciato il seguente principio di diritto:
«l’art. 15, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992 – nella formulazione risultante dalle modifiche apportate dall’art. 9, comma 1, lett. f), n. 2) del d.lgs. n. 156 del 2015 – deve essere interpretato, nel senso che la compensazione delle spese di lite, oltre che nell’ipotesi di soccombenza reciproca, è ammissibile solo in presenza di ragioni gravi ed eccezionali, da enunciare espressamente nella decisione. In particolare, il giudice deve tener conto della condotta processuale della parte soccombente nell’agire e resistere in giudizio, nonché dell’incidenza di fattori esterni e non controllabili, tali da rendere, nel caso concreto, contraria al principio di proporzionalità l’applicazione del criterio generale della soccombenza».”
Sul punto la Corte riprende la sentenza della Corte Costituzionale n. 77 del 2018 da cui “si traggono le coordinate ermeneutiche che possono condurre alla compensazione delle spese di lite ai sensi dell’art. 15, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992 e 92, comma 2, cod. proc. civ. (alla luce dell’intervento additivo appena richiamato). La Corte costituzionale ha rilevato, in primo luogo, che la regola generale è quella della liquidazione delle spese in favore della parte vittoriosa («La regolamentazione delle spese di lite è processualmente accessoria alla pronuncia del giudice che la definisce in quanto tale ed è anche funzionalmente servente rispetto alla realizzazione della tutela giurisdizionale come diritto costituzionalmente garantito (art. 24 Cost.). Il «normale complemento» dell’accoglimento della domanda – ha affermato questa Corte (sentenza n. 303 del 1986) – è costituito proprio dalla liquidazione delle spese e delle competenze in favore della parte vittoriosa»). Tale regola non ha, tuttavia, carattere assoluto e inderogabile («Ampia, quindi, è la discrezionalità di cui gode il legislatore nel dettare norme processuali (ex plurimis, sentenze n. 270 del 2012, n. 446 del 2007 e n. 158 del 2003) e segnatamente nel regolamentare le spese di lite. Sicché è ben possibile – ha affermato questa Corte (sentenza n. 157 del 2014) − «una deroga all’istituto della condanna del soccombente alla rifusione delle spese di lite in favore della parte vittoriosa, in presenza di elementi che la giustifichino (sentenze n. 270 del 2012 e n. 196 del 1982), non essendo, quindi, indefettibilmente coessenziale alla tutela giurisdizionale la ripetizione di dette spese (sentenza n. 117 del 1999)»). In secondo luogo, nel perimetrare l’evoluzione normativa che ha interessato l’originaria formulazione dell’art. 92, secondo comma, cod. proc. civ. (cui rinviava anche l’art. 15, comma 1, d.lgs. n. 546 del 1992, prima delle modifiche ad opera del d.lgs. n. 156 del 2015) con il passaggio dalla clausola generale che ammetteva la compensazione per «gravi motivi» a quella - che connotava la formulazione dell’art. 92, comma 2, cod. proc. civ. anteriormente alle modifiche ad opera del d.l. n. 132 del 2014 e attualmente inserita nell’art. 15, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992 – che impone, invece, la presenza di «gravi ed eccezionali ragioni», finisce per restringere i margini del sindacato giurisdizionale, riducendo, in tal modo, le possibili deroghe alla regola generale della soccombenza («I «giusti motivi» sono diventati le «gravi ed eccezionali ragioni»: ciò significava che il perimetro della clausola generale si era ridotto, ritenendo il legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità − che si è già rilevato essere ampia, secondo la giurisprudenza di questa Corte − che una più estesa applicazione della regola di porre a carico del soccombente totale le spese di lite rafforzasse il principio di responsabilità di chi promuoveva una lite, o resisteva in giudizio, con conseguente effetto deflativo sul contenzioso civile.», C. cost. n. 77 del 2018). In tal modo il legislatore non solo accentua i rapporti tra la regola cd. della soccombenza (art. 15, comma 1, d.lgs. n. 546 del 1992) e quella speciale della compensazione (art. 15, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992) in termini di norma generale-norma eccezionale, ma costruisce la seconda come una sorta di correttivo alla prima, di cui finisce per modulare l’applicazione secondo il principio di proporzionalità. Il principio di responsabilità che integra la ratio della regola generale sulla soccombenza, trova, quindi, in virtù di una clausola generale («gravi ed eccezionali ragioni») un correttivo che scongiura esiti interpretativi contrari al principio di ragionevolezza. La gravità ed eccezionalità (cui il legislatore fa riferimento in via cumulativa) delle ragioni che inducono il giudice a compensare le spese è correlata alla condotta processuale complessivamente tenuta dalla parte soccombente nell’agire e resistere in giudizio, da valutare in relazione all’incidenza di fattori esterni e non controllabili che rendano contraria al principio di proporzionalità l’applicazione della regola della soccombenza sancita nell’art. 15, comma 1, d.lgs. n. 546 del 1992 nella liquidazione delle spese. Un’ipotesi di ragione grave ed eccezionale è quella tipizzata ad opera del d.lgs. 220 del 2023 – applicabile ai processi instaurati dal 04/04/2024, v. supra – con la quale è stato inserito nell’art. 15, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992, il riferimento alla l’ipotesi in cui «la parte sia risultata vittoriosa sulla base di documenti decisivi che la stessa ha prodotto solo nel corso del giudizio». Un’altra ipotesi, emersa nella giurisprudenza di legittimità (Cass. 23/12/2021, n. 41360) è invece riconducibile al mutamento sopravvenuto di giurisprudenza (v. anche C. cost. n. 77 del 2018, la quale precisa altresì che: «tale ratio può rinvenirsi anche in altre analoghe fattispecie di sopravvenuto mutamento dei termini della controversia senza che nulla possa addebitarsi alle parti: tra le più evidenti, una norma di interpretazione autentica o più in generale uno ius superveniens, soprattutto se nella forma di norma con efficacia retroattiva; o una pronuncia di questa Corte, in particolare se di illegittimità costituzionale; o una decisione di una Corte europea; o una nuova regolamentazione nel diritto dell’Unione europea; o altre analoghe sopravvenienze. Le quali tutte, ove concernenti una “questione dirimente” al fine della decisione della controversia, sono connotate da pari “gravità” ed “eccezionalità”, ma non sono iscrivibili in un rigido catalogo di ipotesi nominate: necessariamente debbono essere rimesse alla prudente valutazione del giudice della controversia.»). In ogni caso, come già evidenziato da questa Corte (Cass., 08/04/2024, n. 9312; Cass., 24/01/2022, n. 1950) tali ragioni gravi ed eccezionali devono essere espressamente indicate nella sentenza, dove il giudice deve dare puntuale riscontro, pur nell’ambito del parametro di sinteticità sancito nell’art. 36, comma 1, n. 4) d.lgs. n. 546 del 1992. L’onere di motivazione non risponde, peraltro, a un requisito meramente formale, ma consente, oltre all’assolvimento di esigenze di trasparenza, alla funzione di verificare se le ragioni (che hanno condotto alla compensazione delle spese di lite) siano effettivamente gravi ed eccezionali, al punto che l’applicazione della regola generale della soccombenza porterebbe, in concreto, a un esito interpretativo e applicativo contrario al principio di proporzionalità e in antitesi con gli artt. 24 e 111 Cost.”.