Piani di revisione delle partecipazioni: ogni scelta va adeguatamente motivata
Rilevando la mancata integrazione, da parte di una società partecipata, di “due dei parametri previsti dall’art 20, comma 2, e in particolare la lettera b) (società che risultino prive di dipendenti o abbiano un numero di amministratori superiore a quello dei dipendenti) e d) (società nel triennio precedente abbiano conseguito un fatturato medio non superiore a un milione di euro del d.lgs. n. 175 del 2016)”, la Corte dei conti Piemonte (deliberazione n. 133/2024/SRCPIE/VSG) ha sottolineato che, negli anni, sono state fornite diverse opinioni rispetto alle azioni che l’Ente socio è tenuto ad avviare ove si rilevino tali criticità in sede di revisione periodica delle partecipazioni.
In particolare “i primi commenti al Decreto furono nel senso di identificare nella norma un automatismo e di ritenere che in tutti i casi richiamati dall’art. 20, 2° comma, la partecipazione dovesse essere oggetto di razionalizzazione”.
Poi, in sede di successive interpretazioni sistematiche degli artt. 20 e 24 del TUSP “gli orientamenti giurisprudenziali hanno ampliato i margini di discrezionalità delle amministrazioni agenti sino a legittimare ipotesi di mantenimento della partecipazione purché nel solco del principio di legalità e sempre ché supportate da adeguata motivazione. In altri termini, accanto ad ipotesi in cui i margini di discrezionalità sono nulli, come ad esempio per le partecipazioni in società commerciali, per le quali esiste un preciso limite alla capacità generale della amministrazione fissato nel “vincolo di scopo”, altre fattispecie potrebbero essere oggetto di un piano riassetto complessivo che ne giustifichi il mantenimento[..].
In sostanza ciò che viene in rilievo è il binomio discrezionalità/motivazione. Ne consegue che più sarà elevato il grado di discrezionalità esercitato dall’amministrazione nel decidere se mantenere o meno una partecipazione societaria, maggiore sarà la responsabilità di un onere motivazionale che la stessa dovrà esplicitare per superare il vaglio del controllo della Corte a fronte di una presunzione relativa di distonia rispetto al dato normativo”. (cfr. anche la deliberazione della Sezione n.168/2021/SRCPIE/PRSE)”.
Nel caso concreto, l’Ente socio ha supportato il mantenimento della partecipazione sulla base della “prospettiva che la società possa a breve raggiungere i limiti di fatturato di cui all’art. 20 Tusp”, motivazione della quale la Corte ha preso atto pur sottolineando che la necessarietà, per l’Amministrazione, di svolgere “un attento monitoraggio della situazione della società al fine di verificare che si realizzi il previsto aumento del fatturato e che vegano preservate condizioni di equilibrio e di sana gestione della società anche in termini di liquidità”. Ciò anche richiamando le “recenti delibere assunte ex art. 5 TUSP” ove viene sottolineato che “la riconducibilità dell’attività svolta da una società alle finalità indicate dall’art. 4 TUSP non è sufficiente a giustificare la detenzione della partecipazione da parte dell’Ente pubblico ma è necessario che ricorra anche la “stretta necessità” ovvero la rispondenza della stessa ai principi di convenienza economica, efficienza, efficacia ed economicità (deliberazioni 19/SSRRCO/QMIG/2022 e fra le altre N. 20/SSRRCO/PASP/2022).”.
“Ciò”, continua la Sezione, “vale sia nella fase genetica della costituzione della società e dell’acquisizione della partecipazione che in quella di verifica periodica. … Si tratta dunque di un’occasione in cui l’Ente è chiamato a verificare sia l’impatto delle partecipate sugli equilibri dell’ente socio e sia la loro capacità di perseguire gli interessi della collettività. (Sezione delle autonomie deliberazione n. 10/SEZAUT/2024/FRG).”.