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Peculato nel caso di somme dovute e non versate all’Ente locale

Con sentenza n. 29188/2021 la Corte di Cassazione ha confermato il provvedimento di condanna per reato di peculato nei confronti del legale rappresentante di una società, gestore delle lampade votive di un cimitero comunale, in quanto lo stesso ha trattenuto delle somme dovute al Comune a titolo di aggio sui corrispettivi riscossi dalla società per l’espletamento del servizio affidato.

In risposta alla prima sentenza di condanna, il legale rappresentante ha presentato quale motivazione a sostegno della trattenuta, il fatto che la stessa sia stata predisposta “a titolo di compensazione di un proprio credito, oggetto di pregresso contenzioso con il Comune”, contestando altresì “l’erronea applicazione dell’art. 314, cod. pen., poiché all’atto delle anzidette condotte, essendo ormai scaduto il relativo contratto di appalto che legava la società al Comune, la ricorrente condotta avrebbe potuto integrare, al più, il diverso delitto di appropriazione indebita, ormai estintosi per prescrizione”.

In tal senso la Cassazione ha respinto entrambi i motivi di ricorso ribadendo che, già con sentenza delle Sezioni Unite n. 38691/2009, è stato chiarito che il mancato versamento di somme incassate per conto dell’ente locale “per soddisfare un proprio diritto di credito vantato nei confronti del medesimo, ricorrendo a una sorta di autoliquidazione” non può essere autorizzato nemmeno in caso di “eventuale … erronea convinzione che ciò che le fosse consentito”, in quanto tale condotta configura fattispecie di peculato, il quale “si consuma nel momento in cui ha luogo l’appropriazione della res o del danaro da parte dell’agente, la quale, anche quando non arreca, per qualsiasi motivo, danno patrimoniale alla pubblica amministrazione, è comunque lesiva dell’ulteriore interesse tutelato dall’art. 314, cod. pen., che si identifica nella legalità, imparzialità e buon andamento del suo operato”.

Concludendo la Corte ha aggiunto che l’intervenuta scadenza dell’appalto non risulta essere “sufficiente di per sé a far venir meno la qualifica pubblica dell’agente, tanto più laddove quest’ultimo … abbia pacificamente continuato a svolgere il servizio ed a riscuotere le relative somme, poi trattenute” poiché, a norma dell’art. 360, cod. pen., è solamente necessario “che la condotta appropriativa sia funzionalmente connessa all’ufficio od al servizio precedentemente esercitati”.