Onere della prova a carico del contribuente anche dopo la riforma del processo tributario (Legge 130/2022)
Attraverso l’ordinanza n. 2746/2024, la Corte di Cassazione ha precisato come, nel processo tributario, la valutazione degli elementi probatori da parte dell’autorità giudiziaria debba comunque avvenire in adesione ai criteri prefissati dalla normativa tributaria sostanziale, non ponendosi in contrasto con questa, dunque, il nuovo comma 5-bis dell’art. 7 del D. Lgs. n. 546/1992 introdotto dall’art. 6 della Legge n. 130/2022.
La vicenda aveva ad oggetto l’impugnazione, da parte dell’Agenzia delle Entrate, di una sentenza con cui la Commissione Tributaria Regionale del Veneto aveva confermato la decisione di accoglimento di un ricorso proposto contro degli avvisi di accertamento rettificati dall’Agenzia in via sintetica avvalendosi delle risultanze del c.d. “redditometro”.
La ricorrente, in particolar modo, segnalava che il giudice d’appello avesse erroneamente ritenuto che, ai fini del superamento della presunzione di cui all’art. 38, comma 4, del DPR n. 600/1973 da parte del contribuente, fosse sufficiente la mera dimostrazione di disponibilità reddituali bastevoli a giustificare il tenore di vita rilevato in via sintetica; rilevava, inoltre, che il contribuente avrebbe dovuto invece fornire una prova ulteriore, dimostrando cioè che tali disponibilità fossero state impiegate per sostenere le spese poste a fondamento dell’accertamento da parte del Fisco.
La Cassazione, riconoscendo la fondatezza del suesposto motivo, chiariva che “pur non essendo esplicitamente richiesta la prova che detti ulteriori redditi siano stati utilizzati per coprire le spese necessarie, il contribuente è comunque ‘onerato della prova in merito a circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere’, poiché è la norma stessa a chiedere qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi”, in maniera tale da poter riferire detta disponibilità a fatti oggettivi e ad una maggiore capacità contributiva accertata sinteticamente. Tale prova, peraltro, può essere fornita anche solo mediante l’esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente.
L’aspetto più significativo rilevato dal giudice di legittimità, tuttavia, è rappresentato dal fatto che il nuovo comma 5-bis dell’art. 7 del D. Lgs. n. 546/1992 introdotto dall’art. 6 della Legge n. 130/2022, concernente la riforma della giustizia tributaria, non sembra alterare il meccanismo di distribuzione dell’onere della prova poc’anzi descritto: gli “ermellini”, infatti, stabilivano che “già la sola precisazione, nel secondo periodo del ridetto comma 5-bis, che la fondatezza della prova deve essere valutata ‘comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale’, salvaguarda le presunzioni legali, quale quella in materia di accertamento sintetico, previste dalla normativa sostanziale tributaria, la cui persistenza non può quindi ritenersi in contrasto con disposizioni sull'onere della prova contenute nel primo e nel terzo periodo dello stesso comma”.
Pertanto, la Corte, in accoglimento del ricorso proposto da parte dell’Agenzia delle Entrate, enunciava quale principio giuridico che “in materia di giudizio tributario, il nuovo comma 5-bis dell'art. 7 del D.Lgs. n. 546 del 1992, introdotto dall' art. 6 della l. n. 130 del 2022, secondo cui il giudice deve valutare la prova "comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale", non si pone in contrasto con la persistente applicabilità delle presunzioni legali che, nella normativa tributaria sostanziale, impongano al contribuente l'onere della prova contraria”.