Nuovi orientamenti applicativi Aran
L’Aran ha recentemente pubblicato sul proprio sito istituzionale numerosi nuovi orientamenti applicativi che riportiamo di seguito.
Relativamente alla particolare problematica esposta, si ritiene utile precisare quanto segue:
a) l’art. 20, comma 10, del CCNL del 21.5.2018 delle Funzioni Locali prevede, come è noto, la conservazione del posto senza retribuzione presso l’ente di provenienza al dipendente, a tempo indeterminato, che sia vincitore di concorso presso un altro ente o amministrazione, per un arco temporale corrispondente pari alla durata del periodo di prova stabilita dal CCNL applicato presso l’ente o amministrazione di destinazione;
b) il comma 12 del medesimo articolo precisa, inoltre, che il suddetto diritto alla conservazione del posto si applica anche al dipendente in prova proveniente da un ente di diverso comparto il cui CCNL preveda analoga disciplina;
c) come nella vigenza del precedente art.14-bis, comma 9, del CCNL del 6.7.1995, i cui contenuti sono stati sostanzialmente riprodotti nell’art.20, comma 10, del CCNL del 21.5.2018, questa ultima previsione deve ritenersi applicabile solo nei confronti di dipendenti di amministrazioni pubbliche, di cui all’art.1, comma 2, del D.Lgs.n.165/2001, appartenenti comunque ad uno specifico comparto di contrattazione rientrante nella competenza dell’ARAN, che abbia previsto, nella propria disciplina negoziale, un’analoga regolamentazione;
d) pertanto, la disciplina di cui si tratta non può trovare applicazione:
1) nel caso di coinvolgimento di personale dipendente al quale non si applicano i CCNL sottoscritti in sede ARAN;
2) anche in caso di provenienza da altro comparto di contrattazione collettiva, ove manchi quella condizione di reciprocità di cui si è detto, nel senso che non esista, nell’ambito della contrattazione collettiva di questo diverso comparto, una clausola di contenuto analogo che riconosca ai dipendenti vincitori di concorso in altro comparto di contrattazione, il diritto alla conservazione del posto nell’ente di provenienza, per la durata del periodo di prova.
Alla luce delle suesposte considerazioni si esclude che, nel caso prospettato, possa trovare applicazione la disciplina del citato art.20, comma 10, del CCNL del 21 maggio 2018, dato che il personale della carriera prefettizia, ai sensi dell’art. 3 del D. Lgs. n. 165/2001, rientra tra i dipendenti delle amministrazioni ancora assoggettate a regime pubblicistico per gli aspetti concernenti il trattamento giuridico ed economico del proprio personale.
In materia, si ritiene utile precisare che l’art. 70-quinquies, comma 2, del CCNL delle Funzioni Locali del 21.5.2018, sostanzialmente ripetendo le previsioni del precedente art.36, comma 2, del CCNL del 22.1.2004, ha inteso solo valorizzare l’eventuale funzione aggiuntiva di "ufficiale giudiziario" che potrebbe essere affidata ad un lavoratore con profilo di messo notificatore.
Il compenso in esame, quindi, era ed è finalizzato a remunerare solo le specifiche responsabilità del messo comunale cui siano state, formalmente, conferite le funzioni di ufficiale giudiziario. Se tale conferimento manca, l’indennità di cui si tratta non può essere riconosciuta.
Per le modalità di conferimento di tali funzioni, trattandosi di materia non regolata dalla contrattazione collettiva, si consiglia di acquisire il parere del Dipartimento della Funzione Pubblica, istituzionalmente competente per l’interpretazione delle disposizioni di legge concernenti il rapporto di lavoro pubblico.
In ordine a tale problematica, l’avviso della scrivente Agenzia è nel senso che la particolare aspettativa prevista dall’art.18 della legge n.183/2010, per sua particolare natura, per i suoi specifici contenuti e per le sue finalità, rappresenta una autonoma tipologia di aspettativa del tutto diversa e distinta da quella per motivi familiari e personali, disciplinata dall’art.39 del CCNL delle Funzioni Locali del 21.5.2018.
Relativamente alla particolare problematica esposta, si ritiene opportuno evidenziare che l’art.70-ter, comma 1, del CCNL delle Funzioni Locali del 21.5.2018 espressamente prevede che i compensi ISTAT sono finalizzati a "….remunerare prestazioni connesse a indagini statistiche periodiche e censimenti permanenti, rese al di fuori dell’ordinario orario di lavoro.".
In materia, si ritiene opportuno precisare che i permessi retribuiti per accertamenti prenatali, previsti dall’art. 14 del D.Lgs.n.151/2001, rappresentano una autonoma e specifica forma di tutela che il legislatore ha inteso apprestare per le lavoratrici madri.
Pertanto, essi, proprio perché regolati direttamente dalla legge per la loro peculiare finalità, non possono in alcun modo essere ricondotti all’interno delle previsioni dell’art.35 del CCNL delle Funzioni Locali del 21.5.2018, che, concernono la diversa fattispecie dei permessi per l’espletamento di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici.
Si tratta, quindi, come già evidenziato nella vigenza della precedente disciplina dell’art.19 del CCNL del 6.7.1995, sempre di permessi ulteriori ed aggiuntivi rispetto a quelli di fonte negoziale.
Infatti, poiché la disciplina dell’art.14 del D.Lgs.n.151/2001 è direttamente ed immediatamente applicabile a tutti i lavoratori, pubblici e privati, ai fini del riconoscimento loro riconoscimento alle lavoratrici del settore pubblico non v’è alcun bisogno di una specifica clausola contrattuale, essendo sufficiente la generale previsione dell’art.2, comma 2, del D.Lgs.n.165/2001.
Inoltre, si richiama l’attenzione sulle previsioni dell’art.33, comma 4, del medesimo CCNL del 21.5.2018, riconosce il diritto del dipendente alla fruizione, ove ne ricorrano le condizioni, di tutte le altre tipologie di permesso retribuito previste da norme di legge. Si tratta di una previsione di portata generale, anche se nella clausola contrattuale, l’attenzione, a titolo certamente esemplificativo e non esaustivo, è posta espressamente solo su alcune particolari tipologie legali di permesso (permessi per donatori di midollo; permessi e congedi dell’art.4, comma 1, della legge n.53/2000).
L’art.56 quater del CCNL del 21.5. 2018 delle Funzioni Locali individua, espressamente, alle lettere a), b) e c) del comma 1 dello stesso, le possibili modalità di utilizzo dei proventi della sanzioni amministrative derivanti dalla violazione del codice della strada.
Tale disciplina contrattuale, tuttavia, si muove, sempre all’interno della cornice regolativa dell’art.208 del D.lgs. n. 285/1992.
Infatti, il citato art.56 quater, comma 1, del CCNL del 21.5.2018 dispone che: "I proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie riscossi dagli enti, nella quota da questi determinata ai sensi dell’art. 208, commi 4 lett. c), e 5, del D.Lgs.n.285/1992 sono destinati, in coerenza con le previsioni legislative,….".
Pertanto, come evidenziato dalla clausola contrattuale, in coerenza e nel rispetto delle disposizioni del citato art.208, commi 4 lett. c), e 5, del D.Lgs.n.285/1992, spetta sempre e solo all’ente la concreta individuazione delle possibili finalità di utilizzo delle risorse di cui si tratta, tra quelle indicate nella legge e l’ammontare delle risorse per ciascuna fissata.
In proposito, infatti, si richiama la espressa previsione dell’art.208, comma 5, del D.Lgs.n.285/1992, secondo la quale: "Gli enti di cui al secondo periodo del comma 1 determinano annualmente, con delibera della giunta, le quote da destinare alle finalità di cui al comma 4. Resta facoltà dell'ente destinare in tutto o in parte la restante quota del 50 per cento dei proventi alle finalità di cui al citato comma 4."
La disciplina dell’art.17, comma 6, del CCNL delle Funzioni Locali del 21.5.2018, in connessione le precedenti e vigenti disposizioni degli 14 e 13 del CCNL del 22.1.2004, ai fini della sua attuazione, richiede che:
a) un dipendente di un ente sia utilizzato a tempo parziale presso altro ente o presso un servizio in convenzione; in base al citato art.14,comma 1, la convenzione di utilizzo a tempo parziale, deve disciplinare in particolare: la durata del periodo di utilizzazione, il tempo di lavoro (nell’ambito dell’orario d’obbligo complessivo normalmente di 36 ore settimanali) e la relativa articolazione tra i due enti, la ripartizione degli oneri e i conseguenti adempimenti reciproci, ogni altro aspetto ritenuto utile per una corretta gestione del rapporto di lavoro;
b) l’affidamento al suddetto dipendente utilizzato a tempo parziale presso altro ente, già titolare di posizione organizzativa presso l’ente di appartenenza di una posizione organizzativa, di altra posizione organizzativa presso l’ente utilizzatore o presso il servizio in convenzione;
c) deve determinarsi, quindi, una situazione di contestuale titolarità in capo al medesimo dipendente di due diverse e distinte posizioni organizzative, una presso l’ente di appartenenza e l’altra presso l’ente che lo utilizza a tempo parziale o presso il servizio in convenzione;
Spetta al datore di lavoro pubblico, nell’ambito della sua autonoma responsabilità gestionale, la valutazione della effettiva sussistenza di tali presupposti.
Ove questi, siano presenti, si potrà dare luogo all’applicazione della disciplina del citato art.17, comma 6, del CCNL del 21.5.2018, che, ribadendo quanto già previsto dai richiamati artt. 14 e13 del CCNL del 22.1.2004, dispone che:
a) l’ente di appartenenza continua a corrispondere la retribuzione di posizione e di risultato secondo i criteri dallo stesso stabiliti, riproporzionate in base alla intervenuta riduzione della prestazione lavorativa e con onere a proprio carico;
b) l’Unione, l’ente, o il servizio in convenzione presso il quale è stato disposto l’utilizzo a tempo parziale corrispondono, le retribuzioni di posizione e di risultato in base alla graduazione della posizione attribuita e dei criteri presso gli stessi stabiliti, con riproporzionamento in base alla ridotta prestazione lavorativa;
c) al fine di compensare effettivamente la maggiore gravosità connessa alla titolarità di due posizioni organizzative e lo svolgimento delle prestazioni in diverse sedi di lavoro, i soggetti di cui si è detto (Unione, Ente utilizzatore e servizio in convenzione) possono altresì corrispondere, una maggiorazione della retribuzione di posizione attribuita ai sensi del precedente alinea, di importo non superiore al 30% della stessa, con oneri a proprio carico;
d) quindi, solo l’ente utilizzatore a tempo parziale, il servizio in convenzione e l’unione di comuni, che si avvalgono del lavoratore di altro ente, si assumono l’onere della maggiorazione fino al 30% della retribuzione di posizione, considerata nel suo valore pieno, prevista dalla disciplina contrattuale;
e) l’importo della retribuzione di posizione, determinato tenendo conto anche della eventuale maggiorazione dell’art.17, comma 6, ultimo alinea, del CCNL del 21.5.2018, deve essere, comunque, poi riproporzionato in relazione alla durata prevista della prestazione lavorativa presso l’ente utilizzatore a tempo parziale, il servizio in convenzione e l’unione di comuni;
f) gli oneri della eventuale maggiorazione della retribuzione riconosciuta dall’ente utilizzatore a tempo parziale, dal servizio in convenzione e dall’unione di comuni sono posti a carico di questi;
g) in coerenza con la ratio dell’istituto e con gli orientamenti applicativi già formulati in materia, il riproporzionamento deve essere effettuato in relazione al numero delle ore che il dipendente effettivamente è chiamato a rendere presso l’ente di appartenenza e presso l’utilizzatore a tempo parziale, il servizio in convenzione e l’unione di comuni;
h) per effetto della nuova disciplina, tenuto conto anche delle regole in materia di valori della retribuzione di posizione recate dall’art.15 del CCNL del 21.5.2018, è venuto meno anche il precedente tetto di € 16.000, previsto dai precedenti artt.13 e 14 del CCNL del 22.1.2004 per le ipotesi considerate;
i) un esempio, potrà chiarire la disciplina:
Valore posizione organizzativa intero: € 11.300,00
Valore posizione riproporzionato in relazione al tempo di lavoro presso lo stesso: € 5.650,00
Ente utilizzatore a tempo parziale, Unione o Servizio in convenzione:
Valore posizione organizzativa intero: € 11.300,00
Valore eventuale incremento del 30% (valore massimo): € 3.390,00
Valore posizione organizzativa intero con l’incremento del 30%: € 14.690,00
Valore posizione riproporzionato in relazione al tempo di lavoro presso lo stesso: € 7.345,00
Infatti, nell’ambito della nuova disciplina, analogamente a quanto avviene per la retribuzione di risultato della dirigenza, è previsto solo che al finanziamento della retribuzione di risultato deve essere destinata una quota non inferiore al 15% del complessivo ammontare delle risorse finalizzate all’erogazione della retribuzione di posizione e di risultato di tutte le posizioni organizzative previste dall’ordinamento dell’ente. Gli enti definiscono, poi, autonomamente, in sede di contrattazione integrativa, i criteri generali per la determinazione della retribuzione di risultato delle diverse posizioni organizzative, nell’ambito delle risorse a tal fine effettivamente disponibili. A seguito di tale nuova regolamentazione, deve ritenersi integralmente e definitivamente disapplicata la precedente disciplina della retribuzione di risultato delle posizioni organizzative contenuta nell’art.10, comma 3, del CCNL del 31.3.1999, che rappresentava la cornice di riferimento anche del sopra citato art.14, comma 5, del CCNL del 21.5.2004.
Pertanto, anche nel caso di un dipendente di un ente utilizzato a tempo parziale presso altro ente o presso un servizio in convenzione o presso una Unione di comuni, con contestuale conferimento della titolarità di due distinte posizioni organizzative, come sopra detto, la disciplina applicabile per la retribuzione di risultato deve essere individuata nelle previsioni dell’art. 15, comma 4, del CCNL delle Funzioni Locali del 21.5.2018.
Relativamente alle particolari problematiche esposte, si ritiene utile precisare quanto segue:
a) se un dipendente, già in servizio presso altro ente o amministrazione, anche di diverso comparto, è assunta successivamente da altra amministrazione, tramite concorso o altro strumento selettivo previsto dalla vigente legislazione in materia, le assenze per malattia intervenute nel primo rapporto di lavoro non possono essere computate nell’ambito del secondo, trattandosi di due autonomi e distinti rapporti di lavoro. Pertanto, anche in questa fattispecie, con l’estinzione del primo rapporto di lavoro, come sopra già detto, vengono meno tutte quelle situazioni soggettive che in quel rapporto trovavano il proprio fondamento. Conseguentemente, il periodo di comporto delle malattie imputabili a causa di servizio presso il nuovo ente ricomincia ex novo;
b) diversamente accade solo nel caso della mobilità. Infatti, in base alle previsioni dell’art.30 del D.Lgs. n. 165/2001, in tutti i casi di mobilità di personale tra enti o amministrazioni, non vi è costituzione di un nuovo rapporto di lavoro, ma la continuazione del precedente rapporto, con i medesimi contenuti e caratteristiche, con un nuovo datore di lavoro. Quindi, a seguito dell’assegnazione al nuovo ente, non si costituisce nuovo rapporto, ma più semplicemente quello intercorrente con l’ente di precedente appartenenza prosegue, con i medesimi contenuti e caratteristiche, con il nuovo datore di lavoro. Conseguentemente, proprio perché si tratta della prosecuzione del precedente rapporto di lavoro, il nuovo datore di lavoro, ai fini dell’amministrazione del rapporto, relativamente ai vari istituti concernenti le diverse forme di assenze dal lavoro (aspettative, ferie, malattia, ecc.), potrà tenere conto, ai fini del rispetto delle regole e degli eventuali limiti quantitativi stabiliti dalla disciplina contrattuale, anche di quelle già fruite per il medesimo titolo presso l’amministrazione di originaria appartenenza;
c) la risposta al punto 2 della vostra nota è negativa. In proposito, si evidenzia che il meccanismo applicativo della disciplina delle assenze dal servizio per infortunio sul lavoro e malattie dovute a causa di servizio, di cui all’art.38 del CCNL delle Funzioni Locali del 21.5.2018 (come precedentemente nella vigenza dell’art.22 del CCNL del 6/7/1995), in analogia a quanto espressamente previsto dall’art.36 stesso CCNL per le assenze per malattia, per il personale che ancora se ne può avvalere, non è statico ma dinamico, sia nello scorrimento del triennio preso a riferimento sia, evidentemente, nella considerazione dei periodi di assenza da considerare;
d) in base all'art. 38, comma 4, del CCNL del 21.5.2018, in caso di assenza dovuta ad infortunio sul lavoro o a malattia riconosciuta dipendente da causa di servizio, il dipendente ha diritto alla conservazione del posto fino alla guarigione clinica e, comunque, non oltre il periodo previsto dall'art.36, commi 1 e 2. In tale periodo al dipendente spetta l’intera retribuzione di cui all’art.36, comma 10, lett. a), del medesimo CCNL, comprensiva del trattamento accessorio ivi previsto come determinato nella tabella n.1 allegata al CCNL del 6.7.1995. Pertanto, il periodo di comporto per le assenze dovute ad infortunio è un unico periodo di 36 mesi, durante il quale il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto e alla retribuzione in misura intera;
e) in mancanza di una diversa regolamentazione (come evidenziato in precedenti orientamenti applicativi, spetta all’autonoma potestà regolamentare degli enti la determinazione della disciplina di dettaglio delle posizioni organizzative, con particolare riferimento alle ipotesi di assenza del responsabile delle stesse), il dipendente incaricato di una posizione organizzativa conserva la titolarità della stessa anche nei casi di assenza per malattia, anche di lunga durata, e, in relazione a tale incarico ed alla durata dello stesso, il corrispondente diritto a percepire la retribuzione di posizione;
f) infatti, l’art.36, comma 10, lett. a), del CCNL del 21.5.2018, espressamente stabilisce che al lavoratore deve essere riconosciuta "’ "intera retribuzione fissa mensile ivi comprese le indennità fisse e ricorrenti…" ed in tale ambito certamente rientra anche la retribuzione di posizione di posizione dei titolari di posizione organizzativa, in quanto entrambe le caratteristiche della fissità e della continuità qualificano tale particolare voce retributiva.
L’art. 35, comma 9, del CCNL delle Funzioni Locali del 21.5.2018, espressamente, dispone che l’assenza per la fruizione dei permessi orari per l’espletamento di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici deve essere giustificata mediante attestazione di presenza, recante informazioni anche in ordine all’orario delle visite, terapie, ecc., rilasciata dal medico o dal personale amministrativo della struttura che le hanno effettuate.
Nella domanda, evidentemente, il dipendente indicherà anche la prevista durata del permesso di cui intende fruire.
Pertanto, sulla base della disciplina contrattuale, non può non ritenersi sussistente una relazione tra la durata visita, terapia ecc. e le ore di permesso fruito, al fine di consentire una applicazione dell’istituto coerente con le finalità perseguite con lo stesso (pur prendendo atto della opportunità di ammettere margini di flessibilità per tenere conto, ad esempio, di quei fattori di variabilità connessi ai tempi di percorrenza, che potrebbero risentire di fattori esterni o accidentali, come traffico, mezzo utilizzato, imprevisti di altro tipo ecc.).
Pur se l’art. 35, comma 5, del CCNL del 21.5.2018 prevede la possibilità di fruire anche cumulativamente dei permessi orari di cui al comma 1 per la durata dell’intera giornata lavorativa (con incidenza sul monte ore computata con riferimento all'orario di lavoro che avremmo dovuto osservare per tale giornata), ai fini di una valutazione complessiva della situazione determinatasi per la corretta applicazione dell’istituto, non sembra possa prescindersi, comunque, dalle risultanze delle attestazioni di presenza e degli orari ivi indicati, sia pure tenendo conto di quei margini di flessibilità di cui si è detto.
Ove emergano significative discrepanze orarie, ad avviso della scrivente Agenzia, l’ente potrebbe, comunque, valutare, secondo principi generali di correttezza e buona fede, di richiede specifici chiarimenti al dipendente.
In materia, si richiama l’attenzione sulla previsione dell’art.32 del CCNL delle Funzioni Locali del 21.5.2018, che riconosce al datore di lavoro pubblico la possibilità di concedere ai dipendenti, in relazione a ciascun anno solare, 18 ore di permesso retribuito "….per particolari motivi personali o familiari".
Nell’ampia e generica causale giustificativa dei permessi di cui si tratta (i particolari motivi personali o familiari) potrebbe certamente essere ricompresa anche la particolare fattispecie da Voi segnalata.
Ove ciò non sia possibile, perché i permessi sono già stati già integralmente utilizzati, il dipendente potrebbe avvalersi, ove lo reputi opportuno, solo dell’aspettativa per motivi familiari e personali, di cui all’art.39 del medesimo CCNL del 21.5.2018, dato che la stessa può essere fruita anche frazionatamente.
La disciplina contrattuale non prevede altre forme di possibile assenza utilizzabili nella particolare fattispecie prospettata.
In ordine al diverso aspetto dell’esistenza di norme di legge che consentano l’assenza dal lavoro per nascita figli, indicazioni, eventualmente, potranno essere richieste al Dipartimento della Funzione Pubblica, istituzionalmente competente per l’interpretazione delle disposizioni legislative concernenti il rapporto di lavoro pubblico.
Relativamente alle particolari problematiche esposte, si ritiene utile precisare quanto segue:
a) sulla base delle precise indicazioni dell’art.39, comma 1, del CCNL delle Funzioni Locali del 21.5.2018, la durata complessiva del periodo di aspettativa per motivi personali non può essere superiore a dodici mesi in un triennio;
b) la suddetta aspettativa, nei termini quantitativi previsti può essere fruita frazionatamente (art.39, comma 2, del CCNL del 21.5.2018);
c) ove la fruizione dell’ulteriore periodo di aspettativa nel triennio, portasse al superamento del vincolo temporale dei 12 mesi nel triennio, essa non potrebbe in alcun modo essere concessa; si tratta di una disciplina specifica che non ammette deroghe né unilaterali da parte del datore di lavoro, né consensuali, sulla base di un accordo con il lavoratore;
d) ove, invece, la fruizione dell’ulteriore periodo di aspettativa non comporti il superamento di tale limite temporale dei 12 mesi, allora essa potrà essere concessa;
e) si ricorda che, comunque, in base alla disciplina contrattuale, l’aspettativa può essere concessa solo previa autonoma valutazione della stessa con le esigenze organizzative o di servizio dell’ente;
f) la possibilità di concedere l’ulteriore periodo di aspettativa (ove non comporti il superamento del tetto dei 12 mesi nel triennio) è comunque subordinata anche al divieto di cumulo sancito dall’art. 42, comma 1, del medesimo CCNL del 21.5.2018, secondo il quale: "1. Il dipendente, rientrato in servizio, non può usufruire continuativamente di due periodi di aspettativa, anche richiesti per motivi diversi, se tra essi non intercorrano almeno quattro mesi di servizio attivo"; per servizio attivo si intende solo la effettiva attività lavorativa;
g) in relazione a tale ultimo aspetto, tuttavia, giova ricordare che nei propri orientamenti applicativi, pubblicati anche sul proprio sito istituzionale, la scrivente Agenzia, nella vigenza dei precedenti artt.11 e 14 del CCNL del 14.9.2000 ha avuto modo di evidenziare che: " nel nuovo contesto privatizzato, salvo che non si tratti di disposizioni assolutamente inderogabili in quanto rappresentano la tutela minimale da garantire al lavoratore nel corso di svolgimento del rapporto, gli eventuali comportamenti del datore di lavoro pubblico difformi rispetto alle prescrizioni contrattuali non possono essere valutati in termini di legittimità o di illegittimità, come avveniva nel precedente assetto pubblicistico. Ciò vale soprattutto nel caso in cui vengono in considerazione istituti che possono considerarsi disponibili da parte del datore di lavoro, in quanto la relativa disciplina contrattuale è stata finalizzata alla tutela precisa del suo interesse, come nel caso in esame. Pertanto, ove l’ente, autonomamente valuti conforme al suo interesse organizzativo concedere l’aspettativa di cui si tratta anche in mancanza del servizio attivo richiesto dall’art. 14 del CCNL del 14.9.2000, può anche ammettere, assumendosi ogni responsabilità, il dipendente al beneficio, senza che il citato art. 14 possa costituire un ostacolo assolutamente insuperabile. Infatti, l’unico soggetto che potrebbe ricevere un danno dalla violazione della clausola contrattuale è lo stesso soggetto che concede il beneficio al lavoratore. Tuttavia, è opportuno che comportamenti che l’ente intende adottare in materia siano attentamente valutati anche nelle loro conseguenze. Infatti, l’ente, rinunciando a far valere la disciplina relativa al cumulo delle aspettative, ben difficilmente potrebbe giustificare il ricorso a strumenti organizzativi diversi quali il contratto a termine o il lavoro interinale sulla base delle esigenze operative determinate dall’assenza del dipendente. Inoltre occorre considerare che l’art. 14, disciplinando un particolare aspetto del rapporto di lavoro, ha inteso anche dettare una regola unica e uniforme, a garanzia della trasparenza ed imparzialità dei comportamenti datoriali nei confronti di tutti i lavoratori. Pertanto, eventuali deroghe alla regola generale potrebbero determinare richieste emulative da parte di tutti i dipendenti eventualmente interessati, anche con riferimento a forme di aspettative diverse da quelle riconducibili all’art. 13. In tal caso, comportamenti non omogenei del datore di lavoro potrebbero essere fatti valere in sede di contenzioso sotto il profilo della violazione di principi di non discriminazione ed imparzialità.". Si tratta di indicazioni che, seppure formulate, come detto nella vigenza della disciplina degli art.11 e 14 del CCNL del 14.9.2000, possono ritenersi ancora validi in quanto la nuova regolamentazione della materia riproduce, sostanzialmente, quella precedente;
h) pertanto, conclusivamente, si può dire che il periodo massimo di 12 mesi nel triennio non è assolutamente modificabile, mentre sulla disciplina del cumulo possono ritenersi possibili spazi di flessibilità, nei termini descritti alla precedente lett. g).
In materia, si ritiene utile precisare quanto segue:
problematica n.1
In ordine alla portata contenutistica dell’art.24, comma 1, del CCNL del 14.9.2000, l’Aran nei propri orientamenti ha sempre precisato che:
a) dal punto di vista del trattamento economico, al lavoratore che presta lavoro nel giorno del riposo settimanale spetta solo un compenso aggiuntivo pari ad una maggiorazione del 50% della retribuzione oraria di cui all’art.52, comma 2, lett.
b) del CCNL del 14.9.2000, come sostituito dall’art.10 del CCNL del 9.5.2006, commisurato alle ore di lavoro effettivamente prestate (pertanto, ad esempio, fatto 100 il valore della retribuzione oraria di cui all’art.10, comma 2, lett. b), del CCNL del 9.5.2006, l’importo del compenso dovuto al lavoratore sarà pari a 50 - e non a 150 per ogni ora di lavoro prestato); b) al lavoratore spetta, sulla base della medesima disciplina contrattuale, anche un riposo compensativo di durata esattamente corrispondente a quella della prestazione lavorativa effettivamente resa (dichiarazione congiunta n. 13 allegata al CCNL del 5.10.2001). Le suddette ore dovranno essere portate in detrazione alla durata ordinaria della settimana in cui il lavoratore fruirà del riposo compensativo. L’ente, necessariamente ed anche tempestivamente, deve provvedere sempre a far fruire questi riposi al personale interessato entro i termini contrattualmente stabiliti. In proposito si deve ricordare che si tratta di un riposo volto a consentire al lavoratore di godere di quello settimanale, espressamente garantito dalla legge come diritto soggettivo, dallo stesso precedentemente non fruito per ragioni di servizio. Proprio, per tale aspetto, si esclude che lo stesso o anche solo parte di esso possa essere oggetto di rinunzia da parte del lavoratore e, quindi, anche che lo stesso possa essere sostituito con forme di monetizzazione.
Relativamente a tale aspetto, si evidenzia che l’art.24, comma 4, del CCNL del 14.9.2000 prevede espressamente che lo specifico compenso previsto per il lavoro reso nel giorno del riposo settimanale è pienamente cumulabile con ogni altro trattamento accessorio collegato alla prestazione. Si tratta di un trattamento di maggior favore che viene riconosciuto, formalmente e chiaramente, solo al dipendente che, eccezionalmente, viene chiamato a rendere la prestazione lavorativa nel giorno del riposo settimanale e che, conseguentemente in mancanza di indicazioni in tal senso, è insuscettibile di estensione, anche in via analogica, altre ipotesi ugualmente considerate dalla disciplina dell’art.24: attività lavorativa prestata in via eccezionale in giornata festiva infrasettimanale (comma 2); attività lavorativa prestata, in via eccezionale, in giornata feriale non lavorativa (il sabato), in presenza di una articolazione dell'orario di lavoro settimanale su cinque giorni (comma 3).
Relativamente alla particolare problematica esposta, si ritiene utile precisare quanto segue:
a) l’art.67, comma 3, lett. c), del CCNL delle Funzioni Locali del 21.5.2018 espressamente stabilisce che, all’interno del Fondo, le risorse variabili possono essere incrementate con quelle derivanti da disposizioni di legge che prevedano specifici trattamenti economici in favore del personale, da utilizzarsi secondo quanto previsto dalle medesime disposizioni di legge;
b) ad avviso della scrivente Agenzia, in tale ampia e generale indicazione possono essere riportati anche le risorse di cui all’art. 1, comma 1091, della legge n.145/2018; infatti, sembrano sussistere entrambi i presupposti richiesti dalla clausola contrattuale: si tratta di risorse rinvenienti da specifiche disposizioni di legge ed, in base alle stesse, sono espressamente finalizzate anche al trattamento economico accessorio del personale, secondo le quantità e le modalità ivi previste.
In materia, si ritiene opportuno evidenziare che, ai fini dell’interruzione del godimento delle ferie, l’art.28, comma 16, del CCNL delle Funzioni Locali del 21.5.2018, richiede espressamente che intervenga una malattia o di durata superiore a 3 giorni (quindi almeno 4) o che abbia comportato il ricovero ospedaliero.
Pertanto, in coerenza con tale disciplina, nel caso in esame, l’effetto interruttivo potrebbe ritenersi ammissibile solo ove siano presenti tali presupposti e, quindi, si sia trattato di un giorno di effettivo svolgimento della terapia salvavita in regime di ricovero ospedaliero, in conformità alle previsioni dell’art. 37 del medesimo CCNL del 21.5.2018.
Relativamente alla particolare problematica esposta, si ritiene utile precisare quanto segue:
a) nella fattispecie prospettata, a seguito dell’assunzione conseguente allo scorrimento della graduatoria vigente di un concorso pubblico precedentemente da voi bandito, il lavoratore di cui si tratta instaura con l’Ente un nuovo rapporto di lavoro, diverso per natura e contenuti, da quello di cui precedentemente era titolare con lo stesso Ente;
b) pertanto, essendosi estinto il precedente rapporto di lavoro, con il conseguente venir meno, quindi, anche di tutte le situazioni soggettive che in esso trovavano il proprio fondamento, le ferie maturate e non fruite nell’ambito di questo non possono essere trasportate e fruite nell’ambito del nuovo rapporto di lavoro;
c) la trasposizione delle ferie maturate e non fruite presso il vostro sarebbe stato possibile solo nel caso di un processo di mobilità, ai sensi dell’art.30 del D.Lgs.n.165/2001;
d) infatti, in questa ipotesi, non vi è costituzione di un nuovo rapporto di lavoro, ma la continuazione del precedente rapporto, con i medesimi contenuti e caratteristiche, con un nuovo datore di lavoro;
e) l’art.5, comma 8, della legge n.135/2012 ha disposto il divieto di monetizzazione delle ferie non godute dei pubblici dipendenti, salvo i limitati casi in cui questa possa ritenersi ancora possibile sulla base delle citate previsioni legislative e delle indicazioni fornite dal Dipartimento della Funzione Pubblica con le note n.32937 del 6.8.2012 e n.40033 dell’8.10.2012.
In tal senso, si richiamano anche alcune recenti indicazioni contrattuali:
1) la disposizione dell’art. 28, comma 11, del CCNL delle Funzioni Locali del 21.5.2018, secondo la quale: "11. Le ferie maturate e non godute per esigenze di servizio sono monetizzabili solo all’atto della cessazione del rapporto di lavoro, nei limiti delle vigenti norme di legge delle relative disposizioni applicative.";
2) la Dichiarazione congiunta n.1, allegata al medesimo CCNL del 21.5.2018, che espressamente recita: "In relazione a quanto previsto dall’art. 28, comma 11, le parti si danno reciprocamente atto che, in base alle circolari applicative emanate in relazione all’art.5, comma 8, del D.L. n.95 convertito nella legge n.135 del 2012 (MEF-Dip. Ragioneria Generale Stato prot. 77389 del 14.9.2012 e prot. 94806 del 9.11.2012-Dip. Funzione Pubblica prot.32937 del 6.8.2012 e prot. 40033 dell’8.10.2012), all’atto della cessazione del servizio le ferie non fruite sono monetizzabili solo nei casi in cui l’impossibilità di fruire delle ferie non è imputabile o riconducibile al dipendente come nelle ipotesi di decesso, malattia e infortunio, risoluzione del rapporto di lavoro per inidoneità fisica permanente e assoluta, congedo obbligatorio per maternità o paternità.
In relazione a tale problematica, l’avviso della scrivente Agenzia è nel senso che la retribuzione di posizione, nella particolare fattispecie prospettata, debba essere riconosciuta al dipendente interessato.
In proposito, infatti, si osserva che:
a) l’art.61, comma 8, del CCNL delle Funzioni Locali del 21.5.2018 dispone " Nel caso di sentenza penale definitiva di assoluzione o di proscioglimento, pronunciata con la formula "il fatto non sussiste" o "l’imputato non lo ha commesso" oppure "non costituisce illecito penale" o altra formulazione analoga, quanto corrisposto, durante il periodo di sospensione cautelare, a titolo di indennità, verrà conguagliato con quanto dovuto al dipendente se fosse rimasto in servizio, escluse le indennità o i compensi connessi alla presenza in servizio, o a prestazioni di carattere straordinario.. ";
b) dal confronto della suddetta clausola contrattuale con la precedente disciplina dell’art.5, comma 9, del CCNL del Comparto delle Regioni e delle Autonomie Locali dell’11.4.2008 non può non rilevarsi la mancata reiterazione nel testo della prima del riferimento anche "…ai compensi comunque collegati…..agli incarichi…";
c) si tratta di un aspetto importante perché proprio tale riferimento espresso consentiva di escludere dal conguaglio la retribuzione di posizione dei titolari di posizione organizzativa;
d) pertanto, in mancanza di tale indicazione formale, non si ritiene più possibile non riconoscere al dipendente la retribuzione di posizione; infatti, tale particolare compenso, in considerazione della sua natura e delle sue caratteristiche legittimanti non può essere ricondotto tra le indennità connesse alla presenza in servizio che, ai sensi dell’art. 60, comma 8, del CCNL delle Funzioni Locali del 21.5.2018, sono escluse dal conguaglio ivi previsto.
Come espressamente stabilito dall’art. 16, comma 7, del CCNL delle Funzioni Locali del 21.5.2018, l’attribuzione della progressione economica orizzontale non può avere decorrenza anteriore al 1° gennaio dell’anno nel quale viene sottoscritto il contratto integrativo che prevede l’attivazione dell’istituto, con la previsione delle necessarie risorse finanziarie.
Conseguentemente, se il contratto integrativo che prevede le nuove progressioni economiche è stato sottoscritto definitivamente, presso l’ente, comunque nel 2018, le stesse non avrebbero potuto avere decorrenza antecedente al 1° gennaio del 2018 (ma avrebbero potuto avere anche una diversa data del 2018, successiva al 1° gennaio, che le parti avranno ritenuto opportuno a tal fine prevedere).
Se, pertanto, nel caso concreto sottoposto, il contratto integrativo dell’ente è stato sottoscritto in data 31 dicembre 2018, e sulla base degli accordi in esso contenuti, la decorrenza delle progressioni orizzontali è stata fissata alla data del 1° giugno 2018, tale disciplina può ritenersi coerente con le previsioni del citato art. 16, comma 7, del CCNL del 21.5.2018.
Per completezza, informativa, si ricorda che le posizioni economiche "nuove" D7, C6, B8 e A6, previste dalla Tabella C allegata al CCNL del 21.5.2018, non possono avere comunque decorrenza anteriore all’1.4.2018, dato che esse sono state istituite dalla contrattazione collettiva nazionale solo da tale data.