Nuovi orientamenti applicativi Aran
Sul punto, va rammentato che la possibilità di utilizzo ad ore del congedo parentale, nell’alveo dell’art. 32 del testo unico sulla maternità e paternità, è stata introdotta dall’art. 1, comma 339, lett. a) della legge di stabilità per il 2013 (l. 24/12/2012, n. 228) e che il d.lgs. n. 80/2015 è successivamente intervenuto ad integrare tale disciplina prevedendo che "In caso di mancata regolamentazione, da parte della contrattazione collettiva, anche di livello aziendale, delle modalità di fruizione del congedo parentale su base oraria, ciascun genitore può scegliere tra la fruizione giornaliera e quella oraria. La fruizione su base oraria è consentita in misura pari alla metà dell'orario medio giornaliero del periodo di paga quadrisettimanale o mensile immediatamente precedente a quello nel corso del quale ha inizio il congedo parentale". Tale disciplina è stata, infine, confermata stabilmente dal d.lgs. n. 148/2015.
Peraltro, su tale ultima disposizione sono intervenuti chiarimenti dell’INPS con la nota circolare n. 152 del 18/8/2015.
La contrattazione collettiva nazionale, intervenendo dopo alcuni anni dall’entrata in vigore delle suddette disposizioni di legge, nel prevedere espressamente la fruizione su base oraria del congedo in esame, ha preferito limitarsi ad una conferma della possibilità di accesso a tale forma di flessibilità, rinviando quindi, implicitamente, alle modalità applicative perviste dalla citata fonte legale; ciò anche al fine di preservare eventuali soluzioni operative, nel frattempo poste in essere dalle amministrazioni, in linea con la norma di legge e con gli orientamenti applicativi sopra richiamati.
La scelta operata dalle parti contrattuali, quindi, fa propria l’individuazione dell’intervallo di fruizione oraria nella forma di metà dell’orario medio giornaliero, il cui impatto, rispetto al montante di giornate di congedo spettanti, consuma una frazione pari allo 0,5.
In via preliminare, occorre rammentare che entrambe le tipologie di assenza (ex art. 32 e ex art. 35, comma 3) rientrano nell’ambito dei permessi retribuiti e, come tali, valgono a completare il debito orario del dipendente.
Pertanto, nell’ipotesi di una giornata da 9 ore (cui vanno aggiunti i 30 minuti per l’effettuazione della pausa), il dipendente che, entrato al lavoro alle ore 8,00, si assenta, ad esempio, per un’ora nel corso della giornata, con permesso orario ex art. 32 o art. 35, terminando l’orario di lavoro alle 17.30, ha un saldo pari a zero.
Conseguentemente, laddove sia richiesta una prestazione di lavoro oltre l’orario d’obbligo, che dia luogo ad un’eccedenza oraria (con uscita alle 18.30, per rimanere all’esempio fatto), essa potrà essere conteggiata come lavoro straordinario, al ricorrere dei presupposti indicati nell’art. 38 del CCNL 14/9/2000 (autorizzazione del dirigente sulla base delle esigenze organizzative e di servizio, disponibilità delle risorse destinate ai compensi per straordinario).
Non vi è, dunque, incompatibilità tra lo svolgimento di lavoro straordinario e l’utilizzo, nel corso della medesima giornata, di un permesso retribuito ex art. 32 o art. 35, comma 3.
La precisazione contenuta all’art. 32 comma 3 vale, invece, ad escludere la corresponsione di compensi per lavoro straordinario durante le ore di assenza coperte da permesso retribuito. Per effetto di tale previsione - che esplicita comunque un principio generale estensibile a tutte le tipologie di permesso retribuito - non risulta pertanto possibile, dopo il completamento dell’orario d’obbligo, fruire di un permesso, ai sensi del citato art. 32, che dia luogo al riconoscimento di compensi per lavoro straordinario.
Nell’ambito della disciplina contenuta nell’art. 35 del CCNL Funzioni locali 2016/2018 occorre distinguere tra le assenze riconosciute per effettuare visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici, che si differenziano dalla malattia in quanto non caratterizzate da patologia in atto o incapacità lavorativa, e che sono riconducibili più propriamente alla nozione di "permesso", e le ulteriori casistiche contemplate nei commi 11, 12 e 14 dell’articolo, caratterizzate invece da uno stato di incapacità lavorativa e, dunque, più direttamente riconducibili alla nozione di malattia.
Tanto premesso, se l’assenza programmata è intervenuta nell’ambito di una condizione patologica già sussistente e certificata, l’assenza dal domicilio per lo svolgimento degli accertamenti che non hanno potuto avere luogo a causa dell’imprevisto tecnico può ritenersi giustificata dalla documentazione rilasciata dalla struttura sanitaria che attesta quanto accaduto e dà conto della presenza del lavoratore presso la struttura.
Se, diversamente, non vi era concomitanza dello stato patologico, e certamente esso non può essere stato indotto da un esame non svolto, non può in alcun caso trattarsi di malattia. Resta, quindi, da valutare se sia possibile accordare i permessi di cui al comma 1 dell’art. 35.
Su tale aspetto, si ritiene comunque ammissibile il ricorso ai permessi per effettuare esami diagnostici di cui al comma 1 del citato art. 35, limitatamente alle ore necessarie a giustificare l’assenza, sulla base della documentazione attestante l’effettiva presenza del lavoratore presso la struttura sanitaria.
Come chiarito dal comma 15 del richiamato art. 35, infine, resta ferma la possibilità per il dipendente di fruire, in alternativa, dei permessi orari a recupero, dei permessi per motivi familiari e personali, dei riposi connessi alla banca delle ore, dei riposi compensativi per le prestazioni di lavoro straordinario.