Nuova responsabilità erariale
L'articolo 21 del DL 76/2020 Semplificazioni interviene in materia di responsabilità amministrativa-contabile.
Come bene evidenziato dall’Ufficio Studi del Senato, oltre a prevedere che per la prova del dolo sia necessaria la dimostrazione della volontà dell'evento dannoso, la disposizione limita con riguardo ai fatti commessi dal 17 luglio 2020 al 31 luglio 2021, la responsabilità per danno erariale conseguente ad azioni del soggetto agente al solo dolo.
Più nel dettaglio la disposizione, al comma 1, modifica l'articolo 1 della legge n. 20 del 1994 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti), rubricato "azione di responsabilità".
Il comma 1 dell'articolo 1 della legge n. 20 del 1994, nella formulazione vigente prima dell'entrata in vigore del decreto-legge in conversione, sancisce il carattere personale della responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica; limitando la responsabilità ai fatti ed alle omissioni commessi con dolo o con colpa grave, ferma restando l'insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali.
Il decreto-legge in conversione integra l'articolo 1, comma 1 della legge n. 20 del 1994, precisando che la prova del dolo richiede la dimostrazione della volontà dell'evento dannoso.
In proposito la relazione illustrativa precisa che finalità dell'intervento è quello di considerare “il dolo... riferito all’evento dannoso in chiave penalistica e non in chiave civilistica, come invece risulta da alcuni orientamenti della giurisprudenza contabile che hanno ritenuto raggiunta la prova del dolo inteso come dolo del singolo atto compiuto”. La volontà del legislatore sembrerebbe quindi quella di escludere ipotesi di dolo che non siano conformi al dettato dell’art. 43 c.p., secondo il quale “Il delitto è doloso, o secondo l’intenzione, quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’azione od omissione… è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione”.
Il dolo in chiave penalistica è quindi, costituito da due componenti:
- la cosiddetta “rappresentazione”, che consiste nella pianificazione dell’azione od omissione volta a creare l’evento dannoso;
- la “risoluzione”, cioè la decisione di realizzare effettivamente lo sforzo esecutivo del piano, per giungere alla realizzazione del fatto dannoso o pericoloso.
In accezione civilistica, il dolo è elemento psicologico soggettivo del fatto illecito, disciplinato dall’articolo 2043 del Codice civile: “Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”, nel caso della responsabilità extracontrattuale; dall’articolo 1125, sempre del codice civile, nel caso dell’inadempimento di un’obbligazione: “Se l'inadempimento o il ritardo non dipende da dolo del debitore, il risarcimento è limitato al danno che poteva prevedersi nel tempo in cui è sorta l'obbligazione”. Il codice civile non disegna, quindi, il dolo con elementi costitutivi specifici, quali quelli indicati dall’articolo 43 del codice penale, ma è comunque connesso all’intenzione del soggetto agente di ottenere un risultato in ogni caso illecito, per violazione del principio neminem laedere o per consapevole e voluto inadempimento contrattuale.
E' opportuno sottolineare come sulla scorta dei riflessi che il dolo è capace di proiettare sull’esito del giudizio ( si veda infra sul piano della solidarietà), parte della giurisprudenza contabile ha ipotizzato addirittura una particolare declinazione della nozione di dolo (c.d. dolo erariale), in cui: “la consapevolezza e volontà dell’azione od dell’omissione contra legem ha riguardo alla violazione delle norme giuridiche che regolando l’esercizio delle funzioni amministrative ed alle sue conseguenze dannose per le risorse finanziarie pubbliche” (Corte dei conti, sez. III, app. 28 settembre 2004 n. 510). La giurisprudenza successiva, nel rinunciare formalmente all’istituzione di una ulteriore e distinta categoria di dolo, ha esplicitamente fatto riferimento in più pronunce proprio al dolo penalistico ex. art. 43 c.p. (Si vedano tra le altre Corte dei conti, sez. III, app. 28 settembre 2004 n. 510; Corte dei conti sez. I, app. 17/05/2010 n. 356). Come sottolinea la su ricordata relazione illustrativa si è affermato a livello giurisprudenziale anche un altro indirizzo che riconosce l'applicabilità nei giudizi di responsabilità amministrativa del dolo contrattuale o civilistico (si vedano Corte dei conti, sez. giur, Sardegna, sentenza n. 294/09, e Corte dei conti, sentenza n. 25271/2008).
Il comma 2 dell'articolo 21 limita, con riguardo ai fatti commessi dal 17 luglio 2020 (data di entrata in vigore del decreto-legge) al 31 luglio 2021, la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica per l'azione di responsabilità, ai soli casi in cui la produzione del danno conseguente alla condotta del soggetto agente sia stata compiuta con dolo. Questa limitazione di responsabilità - precisa la disposizione - si applica ai danni cagionati dalle sole condotte attive, mentre nel caso di danni cagionati da omissione o inerzia il soggetto agente continuerà a risponderne sia a titolo di dolo, sia di colpa grave.
In proposito come precisa la relazione illustrativa la volontà del legislatore è quella di limitare la responsabilità "al solo profilo del dolo per le azioni e non anche per le omissioni, in modo che i pubblici dipendenti abbiano maggiori rischi di incorrere in responsabilità in caso di non fare (omissioni e inerzie) rispetto al fare, dove la responsabilità viene limitata al dolo la responsabilità al solo profilo del dolo".
Si tratta di una norma temporanea ed eccezionale che trova applicazione con riguardo solo ai fatti commessi dalla entrata in vigore del decreto in conversione e fino al 31 luglio 2021 e quindi che non trova applicazione con riguardo ai fatti commessi nelle precedenti fasi della crisi epidemiologia.
Più in generale è opportuno ricordare che la responsabilità amministrativo-contabile, che condivide con la responsabilità penale - in via tendenziale- i caratteri della personalità e della intrasmissibilità agli eredi, sul piano generale, può definirsi come la "misura" prevista dall’ordinamento contro chi, legato da un rapporto di servizio con la P.A., arrechi un danno suscettibile di valutazione economica allo Stato o ad altro ente od organismo pubblico, con dolo o colpa grave, in violazione dei suoi doveri di servizio.
Gli elementi di specifica caratterizzazione di tale tipo di responsabilità sono:
- il rapporto di servizio, che lega l’autore dell’illecito all’amministrazione pubblica che risente della sua negativa condotta;
- l’evento lesivo, che si sostanzia in un danno patrimoniale (illegittimo sacrificio di un bene economico della P.A.) oppure nella violazione di un bene bene-valore fondamentale della contabilità pubblica;
- lo stato soggettivo di dolo o almeno di colpa grave che ha sostenuto la condotta di chi ha agito, stante l’irrilevanza della semplice colpa.
L’illecito contabile, in particolare, per essere legittimamente imputabile al convenuto deve essergli riferibile a titolo di dolo o colpa grave, essendo irrilevante la mera colpa lieve (si veda Corte cost., sentenza 28 novembre 1998, n. 371), la quale può produrre conseguenze dal punto di vista del diritto civile ed amministrativo (e persino di quello penale ove il reato sia previsto come colposo), ma non di quello contabile civile (si veda fra le tante Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale Umbria, sentenza n. 67 del 25 settembre 2019).
Sempre con riguardo specificamente ai titoli di imputazione soggettiva delle condotte (fatti e omissioni) secondo la giurisprudenza prevalente la colpa grave (generalizzata dall’art. 1, comma 1, legge 14 gennaio 1994, n. 20), da accertarsi (ex ante al tempo della condotta e non ex post) non in termini psicologici bensì normativi, consiste nell’errore professionale inescusabile dipendente da una violazione di legge, da intendersi in senso ampio, ovvero fondata su imperizia, negligenza e imprudenza dovendo la stessa sempre essere riferibile ai compiti, mansioni, funzioni e poteri del convenuto, non potendo, invece, essere dedotta dalla mera posizione di vertice, a meno che questa non implichi la necessità di adottare atti specifici puntualmente indicati dalla Procura regionale (Si vedano fra le altre C. conti, sez. riun., 14 settembre 1982, n. 313; sez. riun., 26 maggio 1987, n. 532; sez. riun., 10 giugno 1997, n. 56; sez. riun., 8 maggio 1991, n. 711).
Con riguardo al dolo (vedi supra) esso consiste nella intenzionalità del comportamento produttivo dell’evento lesivo, vale a dire della consapevole volontà di arrecare un danno ingiusto all’Amministrazione (C. conti, sez. III, 20 febbraio 2004, n. 1447). Il dolo peraltro è un coefficiente soggettivo reale, e non normativo come la colpa grave, che necessita per il suo accertamento di una compiuta analisi delle concrete modalità della condotta posta in essere dal presunto responsabile, così come emergono dal complesso degli elementi di fatto acquisiti al processo e che connotano i parametri di rappresentazione e volizione della condotta stessa (C. dei Conti Sez. II App., 09 marzo 2016, n. 252).
E' opportuno sottolineare inoltre che l’imputazione del fatto a titolo di dolo, anziché di colpa grave, risulta decisivo al fine dell’insorgenza della solidarietà passiva nei casi in cui il fatto dannoso sia stato causato dall’azione di più persone, e dei relativi effetti in tema di atti interruttivi della prescrizione. In particolare il comma 1-quinquies dell'art. 1 della legge n. 20 del 1994 precisa che nel caso di fatto dannoso causato da più persone, i soli concorrenti che abbiano conseguito un illecito arricchimento o abbiano agito con dolo sono responsabili solidalmente. La presenza del dolo è, tutt’altro che irrilevante, facendo venir meno, infatti, una fondamentale norma attenuatrice della responsabilità, quella dell’esclusione della solidarietà passiva, con i correlati effetti specie in tema di atti interruttivi della prescrizione” (Corte dei conti, sez. III, app. 28 settembre 2004 n. 510).