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La valutazione della commissione sui titoli di studio non evita il danno

La Corte dei conti Sezione giurisdizionale Umbria, con sentenza 54/2022, ha condannato al risarcimento del danno la commissione esaminatrice di un concorso pubblico e il dipendente assunto, in quanto la commissione ha valutato discrezionalmente il titolo di studio posseduto dal candidato, giungendo a conclusioni inammissibili.

I magistrati hanno rilevato che l’immissione in servizio di un dipendente non selezionabile attraverso procedure all’uopo deputate sia che si tratti di rapporto privatistico di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione (i c.d. contrattualizzati ), sia che si tratti di rapporti in regime di diritto pubblico (ove continua a sussistere il formale atto di nomina pubblicistico), integra un illecito contabile, contestabile sia nei confronti della commissione esaminatrice, che del dipendente privo dei requisiti oggettivi e soggettivi di partecipazione fissati dalla legge o dal bando.

In materia di pubbliche selezioni, le commissioni esaminatrici pongono in essere, dunque, una attività vincolata o al più tecnico discrezionale. Nella valutazione dei requisiti soggettivi devono applicare la legge, la disciplina secondaria, nonché le previsioni della lex specialis (bando o invito pubblico).

Non è possibile applicare il principio di assorbimento atteso che la commissione non ha alcun potere di considerare che una laurea (in una disciplina diversa) possa assorbire un diploma ottenuto attraverso un percorso di studi tecnici e scientifici diversi. Non è possibile, in altri termini, ritenere che il titolo di geometra possa essere assorbito in quello di perito agrario o laureato in agraria, trattandosi di valutazioni che possono essere fatte a livello normativo o in sede di indizione del bando concorsuale. Né è possibile invocare il criterio dell’equipollenza, atteso che quest’ultima dipende da una espressa norma di legge e non può essere rimessa a valutazioni arbitrarie ed imprevedibili delle commissioni esaminatrici.

Trattandosi di attività di valutazione e giudizio, non può che sussistere la rappresentazione e la volontà di porla in essere con conseguenziale imputazione a titolo doloso. Dagli atti del processo, difatti, è emerso come la commissione esaminatrice si fosse posta il problema dei requisiti soggettivi del candidato e abbia scientemente e volutamente deciso di ammettere il candidato nonostante non avesse il titolo di geometra, rappresentandosi le conseguenze pregiudizievoli derivanti dalla immissione in servizio del dipendente.