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La motivazione per relationem degli atti tributari

"... la mera indicazione degli estremi degli atti presupposti nell'atto notificato alla contribuente non adempie sufficientemente all'obbligo motivazionale, per il quale, nel caso di specie, sarebbe stato necessario allegare gli atti richiamati o comunque rappresentarne in forma estesa il contenuto. ..."

Così si è espressa la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Campania, con sentenza n. 7224/2023, del 29 dicembre 2023.

In particolare, ha affermato che: "l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche per relationem, ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione, però, che questi ultimi siano allegati all’atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, per tale dovendosi intendere l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento che risultino necessari e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, e la cui indicazione consente al contribuente – ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento (Cass., Sez. 5, 25/03/2011, n. 6914, Rv. 617325 – 01), o, ancora, che gli atti richiamati siano già conosciuti dal contribuente per effetto di precedente notificazione (Cass., Sez. 5, 25/07/2012 n. 13110, Rv. 623857 – 01)” e ha aggiunto: “anche l’art. 7, comma 1, dello Statuto del contribuente (così come espressamente previsto dall’art. 42 del d.P.R. citato), nel prevedere che debba essere allegato all’atto dell’amministrazione finanziaria ogni documento da esso richiamato in motivazione, si riferisca esclusivamente agli atti di cui il contribuente non abbia già integrale e legale conoscenza (Cass., Sez. 5, 4/7/2014, n. 15327)”.

Per queste ragioni, è stato chiarito che la Corte di primo grado “per applicare correttamente le norme citate, avrebbe dovuto verificare se le ingiunzioni fiscali presupposte, richiamate nell’atto impugnato ma non allegato fosse comunque "conosciute" dalla contribuente; a tal fine il rispetto delle ragioni ispirative della predetta normativa di tutela avrebbero dovuto far ritenere insufficiente, ai fini dell'adempimento del predetto onere, la documentazione (fornita nel presente procedimento) dell'avvenuta notifica degli atti presupposti al de cuius , in quanto tale dato non fornisce ulteriori informazioni sulla consapevolezza e conoscenza da parte dell'erede in ordine all'atto notificato al de cuius stesso.”, non potendo considerarsi sufficiente la prova dell'avvenuta notifica dell'atto presupposto al de cuius, né la circostanza che la contribuente fosse figlia unica del de cuius, che versava in condizioni di malattia, e che da ciò si potesse desumere la "”conoscenza" delle vicende tributarie "familiari", in quanto trattasi evidentemente di esercizio deduttivo privo di ancoraggio reale”.

Pertanto, la Corte ha precisato: “la necessità di un progressivo passaggio culturale dal concetto di astratta conoscibilità degli atti a quello di conoscenza effettiva, inteso nel senso di concreta cognizione dell’atto cui si rinvia, deve giudare l'attività dell'interprete in ordine alla motivazione (per relationem) degli atti impositivi, in caso di debiti tributari trasmessi mortis causa” .