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La competenza finanziaria potenziata pregiudica la trasparenza

Riportiamo l’estratto di un intervento, pubblicato sulla rivista Azienditalia, del Prof. Fabio Giulio Grandis, professore ordinario di economia aziendale all’Università Roma Tre, con cui abbiamo il piacere di dialogare.

Il prof. Grandis rileva la caparbietà del Legislatore nel cercare di porre rimedio, con tambureggianti interventi successivi, ai limiti oggettivi e agli errori concettuali dell’intero impianto contabile, già evidenti al termine della c.d. sperimentazione degli anni 2012-2014. Il principale risultato di un tal modo di legiferare è stato l’accentuarsi di una complessità tecnica emendata dalla stessa Corte costituzionale che, nella sentenza n. 247 del 29 novembre 2017, afferma: “Questa Corte non ignora il pericolo che l’accentuarsi della complessità tecnica della legislazione in materia finanziaria possa determinare effetti non in linea con il dettato costituzionale e creare delle zone d’ombra in grado di rendere ardua la giustiziabilità di disposizioni non conformi a Costituzione. In ogni caso, è concreto il rischio che un tale modo di legiferare pregiudichi la trasparenza in riferimento al rapporto tra politiche di bilancio, responsabilità politica delle strategie finanziarie e accessibilità alle informazioni da parte delle collettività amministrate.”

Un mese prima, nell’ottobre 2017, l’Ufficio Valutazione Impatto del Senato della Repubblica ha rilasciato il documento di analisi n. 10 - “L’impatto dell’armonizzazione dei bilanci pubblici sui bilanci dei Comuni”, nel quale riprende alcuni temi, già precedentemente evidenziati, mettendo in rilievo il forte aumento della complessità gestionale. In particolare: “[...] sembra che il processo di armonizzazione, nella prima fase di applicazione generalizzata, abbia fatto registrare un forte attrito nell’operare lo ‘scorrimento’ tra due sistemi di contabilità marcatamente diversi. Un attrito che, al di là della complessità tecnica, è stato determinato dalla situazione dei conti pregressi sui quali in non pochi casi l’impatto dell’operazione ‘verità’ è risultato insostenibile. D’altra parte, la riforma contabile ha costituito un’innovazione molto forte per i suoi principi innovativi ma anche per la mole di regole in essa contenute: più di 800 pagine di principi, schemi e modelli.”.

A prescindere dai contenuti della norma e limitandosi alla sola CO.FI, si rileva che il principio applicato (all. 4/2) è passato dalle 66 pagine della prima versione alle vigenti 116 pagine: con ciò confondendo le finalità di un principio contabile con quelle di un manuale operativo. In questo andazzo ben si inserisce l’ultimo decreto datato 1° settembre 2021 che si compone di 113 pagine di correzioni, integrazioni, sostituzioni e aggiornamenti del testo vigente degli allegati n. 1, n. 4/1, n. 4/2, n. 4/3, n. 4/4, n. 6, n. 9, n. 10 e n. 11 al D.Lgs. n. 118/2011.

Ma i continui interventi correttivi sono dovuti anche al fatto che, a ben vedere, il periodo iniziale di “sperimentazione”, dal 2012 al 2014, non si è concluso con una valutazione sugli esiti delle novità introdotte e sulla coerenza rispetto al contesto europeo di armonizzazione contabile. Si è trattato, invece, di una vera e propria “transizione forzata” verso un modello che, ad oggi, risulta indigesto anche a quegli Enti che vi parteciparono fin dall’inizio, solo perché indotti dall’incentivante attenuazione dei pressanti limiti finanziari di spesa connessi al c.d. patto di stabilità all’epoca vigente.

A queste critiche si sono aggiunte anche tutte le maggiori Associazioni dei Responsabili dei servizi finanziari degli Enti locali che, in un’assemblea del 13 ottobre 2017, hanno approvato all’unanimità un documento (c.d. Manifesto dei Ragionieri) nel quale:

- sono evidenziate le principali criticità;

- viene denunciata l’insostenibilità della situazione in essere;

- sono formulate proposte per superare le attuali difficoltà.

La nuova competenza finanziaria, retta dal criterio dell’esigibilità, è stata aggettivata come “potenziata”, con ciò esprimendo implicitamente un giudizio di merito positivo che non si condivide affatto. Viceversa, un autorevole studioso (Prof. Giuseppe Farneti) ha così sentenziato sul criterio dell’esigibilità: “Questo nuovo criterio è però estraneo a tutta la nostra storia contabile e non è applicato da alcun altro paese europeo”.

Insomma, in questi anni si è assistito ad un coro di critiche provenienti dalla Corte costituzionale, dal Senato, dai rappresentanti dei “ragionieri” comunali e da parte significativa della dottrina accademica, ma ciò non ha prodotto alcun esito. Al contrario la normativa, incappata in altre eccezioni di incostituzionalità (sentenze Corte Costituzionale n. 247/2017; n. 101/2018; n. 18/2019; n. 4/2020; n. 80/2021), continua a complicarsi ulteriormente.

In aggiunta, la c.d. clausola di salvaguardia (art. 80 comma 3 Dlgs 118/2011) - secondo la quale la riforma si sarebbe dovuta attuare “senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica” - si è rivelata una chimera. In realtà, gli Enti Territoriali hanno dovuto sostenere ingenti costi per l’adeguamento dei sistemi informativi, per consulenze e per la formazione del personale: tutte spese che potrebbero essere facilmente quantificate ed analizzate dalla Corte dei conti. Le ingenti risorse sprecate per introdurre le novelle del D.Lgs. n. 118/2011 avrebbero potuto essere utilizzate per sperimentare una effettiva CO.EP che, invece, è stata concretamente avviata solo al termine della c.d. sperimentazione, come dimostrabile dal susseguirsi degli aggiornamenti normativi.

Di fronte a tali critiche, comunque, vi è chi ritiene fisiologico un processo di graduale miglioramento mediante successivi adattamenti normativi e valuta la riforma introdotta dal D.Lgs. n. 118/2011 come una evoluzione positiva dei sistemi contabili degli E.T.

Opinione di chi scrive, invece, è l’esatto opposto: la riforma contenuta nel D.Lgs. n. 118/2011 non solo è distante da alcuni criteri della legge delega - quali l’introduzione di una effettiva CO.EP e la rilevazione unitaria dei fatti di gestione - ma rappresenta anche una significativa involuzione della stessa CO.FI che ora ha perso utilità anche rispetto alla funzione autorizzativa che ne aveva da sempre caratterizzato e motivato l’adozione. Con riferimento agli enti locali, la precedente normativa costituiva un patrimonio consolidato, comune e diffuso tra gli operatori, motivo per cui si sarebbero resi necessari solo alcuni interventi di dettaglio (es. eliminare i residui impropri). In queste realtà, il D.Lgs. n. 118/2011 ha portato evidenti disorientamenti, confusione e divaricazione dei comportamenti assunti dagli operatori a fronte delle nuove disposizioni, spesso di difficile e non univoca interpretazione.

Ma anche a fronte di un giudizio gravemente negativo sulle novelle apportate dal D.Lgs. n. 118/2011, non si ritiene possibile cancellare tutto con un “colpo di spugna” e si condivide la necessità di “salvare il salvabile” con interventi di modifica della normativa vigente. Tali interventi, però, devono essere ispirati alla semplificazione, alla riduzione ed alla cancellazione di orpelli, eccezioni, deroghe, particolarità, adempimenti inutili ed istituti contabili farraginosi e contorti. Partire dal vecchio per arrivare al nuovo cercando di modificare in maniera graduale il modo di operare e di pensare, consente di evitare rivoluzioni metodologiche sempre traumatiche in qualunque realtà aziendale, tanto più in realtà sclerotizzate quali sono, purtroppo, molte nostre Amministrazioni pubbliche.

Si è profondamente convinti che più una norma è chiara, semplice e lineare, più facilmente è applicabile e controllabile.