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Incentivi recupero evasione IMU e TARI, l'interpretazione Corte Conti Lombardia non convince

La Corte dei Conti Lombardia, con delibera n. 113/2024, ha assunto una interpretazione in materia di incentivi recupero evasione tributaria che lascia perplessi, basandosi sul mero testo letterale normativo puntuale e allontanandosi - si ritiene - dalla ratio legis.

Come noto, l’art. 1, comma 1091 Legge 145/2018 dispone: “Ferme restando le facoltà di regolamentazione del tributo di cui all'articolo 52 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, i comuni che hanno approvato il bilancio di previsione ed il rendiconto entro i termini stabiliti dal testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, possono, con proprio regolamento, prevedere che il maggiore gettito accertato e riscosso, relativo agli accertamenti dell'imposta municipale propria e della TARI, nell'esercizio fiscale precedente a quello di riferimento risultante dal conto consuntivo approvato, nella misura massima del 5 per cento, sia destinato, limitatamente all'anno di riferimento, al potenziamento delle risorse strumentali degli uffici comunali preposti alla gestione delle entrate e al trattamento accessorio del personale dipendente, anche di qualifica dirigenziale, in deroga al limite di cui all'articolo 23, comma 2, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75. La quota destinata al trattamento economico accessorio, al lordo degli oneri riflessi e dell'IRAP a carico dell'amministrazione, è attribuita, mediante contrattazione integrativa, al personale impiegato nel raggiungimento degli obiettivi del settore entrate, anche con riferimento alle attività connesse alla partecipazione del comune all'accertamento dei tributi erariali e dei contributi sociali non corrisposti, in applicazione dell'articolo 1 del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248. Il beneficio attribuito non può superare il 15 per cento del trattamento tabellare annuo lordo individuale. La presente disposizione non si applica qualora il servizio di accertamento sia affidato in concessione. “Il maggiore gettito accertato e riscosso, relativo agli accertamenti dell'imposta municipale propria e della TARI, nell'esercizio fiscale precedente a quello di riferimento risultante dal conto consuntivo approvato, nella misura massima del 5 per cento, sia destinato, limitatamente all'anno di riferimento, al potenziamento delle risorse strumentali degli uffici comunali preposti alla gestione delle entrate e al trattamento accessorio del personale dipendente, anche di qualifica dirigenziale”.

La Corte Conti Lombardia sintetizza la sua posizione di cui delibera n. 113/2024 evidenziando che sul “montante” su cui calcolare l’incentivo, e sull’anno di accertamento non sia sufficiente il maggior accertamento, ma anche il maggior incasso, riferito all’anno a cui lo stesso accertamento si riferisce. Il quesito sulle conseguenze del ritardo nell’approvazione del rendiconto e senza responsabilità “…dei dipendenti coinvolti nelle iniziative di potenziamento del settore entrate…”, ha espresso il parere nel senso che inibisce l’erogazione degli incentivi di cui trattasi.

Ad avviso del Collegio non sono ravvisabili dubbi interpretativi in riferimento al “…montante…” a cui rapportare la percentuale “…massima del 5%...” rivelandosi lo stesso tenore letterale della norma inequivocabile, laddove specifica che i comuni possono, con proprio regolamento, “…prevedere che il maggiore gettito accertato e riscosso, relativo agli accertamenti …” dell’IMU e della TARI, nell’esercizio fiscale precedente e risultante “…dal conto consuntivo approvato…” sia destinato al potenziamento delle risorse strumentali e al trattamento accessorio del personale; ed invero, l’unico parametro di riferimento considerato dal legislatore è il maggior incasso (di competenza) di tali entrate accertate, per l’appunto, nell’esercizio di competenza, senza che alcun rilievo o valenza possa attribuirsi né agli accertamenti singolarmente considerati (come sembra prospettare l’ente nella prima parte del quesito, contrassegnato dal n. 1), ignorando del tutto il correlato dato della relativa riscossione, né al computo delle riscossioni eventualmente avvenute a residuo per le medesime tipologie di entrate, sia che siano riferite all’accertamento effettuato nell’esercizio ancora precedente (ed incassate in quello corrente), sia che siano derivate dalla riscossione coattiva di ruoli provenienti da esercizi pregressi (e quindi ancora più remoti). In altri termini, deve ritenersi che non sia sufficiente il maggior accertamento, ma anche il maggior incasso, limitatamente all’anno a cui lo stesso accertamento si riferisce.

Per completezza espositiva – aggiunge la Corte dei Conti - può evidenziarsi che la declinazione di tale “maggiore incasso” è stata definita, nei medesimi sostanziali termini, dalla giurisprudenza contabile, ancorché sulla similare (ma non identica) questione riguardante gli incentivi derivanti dalle sanzioni irrogate in esecuzione del Codice della strada, le cui conclusioni, ad avviso del Collegio, possono considerarsi, pure, sovrapponibili alla diversa tipologia di incentivi tributari che qui ne occupano.

La posizione della Corte dei Conti appare inconferente laddove vengono svolti paragoni con l’entrata da violazione al codice della strada, la cui normativa e i cui richiami ad altre espressioni interpretative di sezione regionali Corte dei Conti operati dalla stessa Sezione, consentono invece di destinare una quota dei proventi a progetti di incentivazione del personale per il “potenziamento dei servizi di controllo finalizzati alla sicurezza urbana e alla sicurezza stradale”, non facendo affatto riferimento a maggiori proventi, bensì a tutti i proventi similari, a prescindere dal fatto che vi sia stato un incremento rispetto all’anno precedente.

Se poi fosse vero che gli incentivi si calcolano solo sull’incassato di competenza relativo all’accertato di competenza, significherebbe che gli avvisi di accertamento emessi dal Comune nella seconda parte dell’anno non siano incentivabili, visto che è difficile che si concretizzi l’incasso sul contenzioso in così poco tempo. Non c’è dubbio che si debba ragionare sull’incassato e non sull’accertato, ma si dovrebbe considerare come base di calcolo per l’incentivo la somma tra l’incassato in conto competenza e l’incassato in conto residui.

E se fosse vero che si debba fare riferimento all’incremento degli incassi rispetto all’esercizio precedente, allora - paradossalmente - converrebbe ai responsabili convolti nell’incentivo svolgere attività di recupero tributario a intermittenza (un anno 100 e quello dopo zero; poi di nuovo 100 e poi zero); viceversa una crescita costante ma lenta del recupero tributario porterebbe ad incentivare solo una piccola parte (se l’anno seguente l’incasso passa da 100 a 110, l’incentivo si calcolerebbe solo su 10, non su 110, con il conseguente proliferare di comportamenti opportunistici.


Ma è questo che ha voluto il legislatore, a maggior ragione in anni di tensione finanziaria e monetaria e di Riforma PNRR 1.11 basata sulla riduzione dei tempi di pagamento? Riteniamo che non sia questa la lettura migliore della norma, al di là della mera analisi letterale del testo di legge, che non è mai stato - a sè stante - criterio interpretativo convincente.

Riteniamo infine che la lettura data dalla Corte Conti Lombardia, con delibera n. 113/2024, non possa determinare una conseguente e automatica modifica di criterio da parte dei Comuni che si sono finora discostati, nella loro autonomia regolamentare, rispetto a quanto sopra evidenziato.