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Incentivi funzioni tecniche a favore di dipendenti di società in house

La Corte Conti Puglia con parere n. 119/2022, ha affrontato una richiesta di parere in materia di incentivi funzioni tecniche riferiti ad attività svolte nella vigenza del d.lgs. 163/2016, in favore di dipendenti di una società partecipata dal Comune, concessionaria di servizio di distribuzione del gas. In particolare, il Comune istante ha evidenziato quanto segue:

il Comune garantisce alcuni servizi nell’ambito di propria competenza, mediante affidamenti diretti a società dallo stesso partecipate, secondo il modello dell’in-house providing e fino all’entrata in vigore del D.lgs. n. 50/2016, la società si è avvalsa della possibilità di prevedere compensi incentivanti in favore dei propri dipendenti coinvolti, a diverso titolo, nella progettazione e nell’esecuzione di opere e lavori. Il regolamento disciplinante tali compensi era stato adottato nel dicembre 2013 ai sensi dell’art. 92, co. 5 ult. per. Dlgs 163/2006. I lavoratori hanno inoltrato plurime richieste di riconoscimento di incentivi tecnici, riferite alle attività svolte durante la vigenza del D.Lgs. 163/2006“, ma il Comune rileva che “sussiste un profilo di incertezza sulla possibilità che le somme corrisposte a titolo di incentivi per funzioni tecniche concorrano al raggiungimento dei limiti di spesa del personale fissati dall’Ente socio con proprie direttive inserite nel DUP, ovvero se le stesse non concorrano al raggiungimento di detti limiti in ragione della previsione recata dall’art. 92, co. 5, ult. per., d.lgs. n. 163/2006”.

La Corte conti ha rilevato che le attività incentivabili, su cui verte il parere richiesto dal Comune, in quanto disciplinate dall’art. 92, comma 5 del d.lgs. 163/2006 non siano da cumulare con il trattamento accessorio né da ascrivere alla spesa del personale. Le remunerazioni per funzioni tecniche, all’esame, sono escluse dal tetto di spesa per le retribuzioni previsto dai vincoli di finanza pubblica, in quanto partecipano della stessa natura dei contratti cui accedono. La norma è applicabile alle società in house che sono destinatarie di affidamenti diretti in quanto esse stesse sono considerate “pubbliche amministrazioni” (ovvero, “amministrazioni aggiudicatrici”) ai fini della disciplina dell’evidenza pubblica.

L’ «in house providing», come noto, è uno strumento di affidamento da parte di una pubblica amministrazione di un appalto o di una concessione direttamente a favore di un soggetto dalla stessa controllato e che presenta con essa una relazione organizzativa che rende la società una “longa manus” dell’amministrazione medesima. Tale istituto, come chiarisce anche la giurisprudenza comunitaria, consente di mediare tra il principio di tutela della concorrenza e il potere di auto-organizzazione della pubblica amministrazione.

Più specificamente, il modello “in house providing” si caratterizza per la mancanza di una concreta terzietà ed estraneità del soggetto affidatario dell’attività rispetto alla pubblica amministrazione affidante, per cui, diversamente da quanto si verifica sia nel caso dell’appalto pubblico che in quello della concessione, manca una reale relazione intersoggettiva e proprio tale circostanza fonda la deroga alla disciplina in materia di procedure ad evidenza pubblica, in quanto nella sostanza è come se il bene o il servizio fosse prodotto da un organo interno dell’amministrazione controllante.

Da quanto detto deriva che nell’acquisizione di lavori, servizi e forniture le società in house sono tenute ad attenersi alla disciplina del Codice dei contratti pubblici: l’affidamento diretto “a monte” dell’attività alla società in house, viene in parte bilanciato dall’obbligo per quest’ultima di seguire “a valle” le regole dell’evidenza pubblica per gli appalti da stipulare.

Il principio risulta, tra l’altro, positivizzato all’art. 16, d.lgs. n. 175/2016, avente ad oggetto le “società in house” che, al comma 7, statuisce: «le società di cui al presente articolo sono tenute all’acquisto di lavori, beni e servizi secondo la disciplina di cui al decreto legislativo n. 50 del 2016. Resta fermo quanto previsto dagli articoli 5 e 192 del medesimo decreto legislativo n. 50 del 2016».

Da quanto sopra detto deriva la considerazione degli incentivi per le attività riferibili all’ambito di applicazione del d.lgs. 163 del 2006 come comprese nel quadro economico dell’appalto in linea con l’orientamento della nomofilachia contabile sopra richiamato.

In conclusione, è possibile fornire risposta al quesito nel senso che le somme da corrispondere per le attività incentivabili ai sensi dell’art. 92 co. 5. ult.per. del d.lgs. 163/2006 sono comprese nel quadro economico dell’appalto e non concorrono al raggiungimento dei limiti di spesa fissati dall’Ente socio.