Incarichi ai pensionati, altri no della Corte dei Conti
La Corte Conti Lombardia, con parere n. 172/2024 ha affrontato parere in merito alla sussistenza del divieto sancito dall'articolo 25 della legge 724/1994 per i dipendenti titolari di pensioni non di vecchiaia per incarichi retribuiti affidati dall'amministrazione di provenienza o dalle amministrazioni con cui gli stessi abbiano avuto rapporti di lavoro o impiego nei 5 anni precedenti a quelli di cessazione del servizio per l'espletamento di supporto, affiancamento e assistenza a personale neoassunto in quanto anche tale attività è compresa nella nozione di “collaborazione”.
La Sezione rileva che l’art. 25 della L. 724/1994, che aveva introdotto ulteriori limiti (quello cioè per i dipendenti in quiescenza) agli incarichi speciali affidati ad esterni come previsti dall’art. 380 del D.P.R. n. 3 del 1957, è stato integrato con nuove stringenti limitazioni, introdotte dall’art. 5 del D.L. 95/2012 e s.m.i., che non tengono più conto oltre che del requisito di quiescenza, che non indicano neppure un lasso temporale oltre il quale gli incarichi sono ammissibili e nemmeno distinguono in relazione alla tipologia di incarico.
Dopo le modifiche introdotte a partire dal 2014, la previsione ha assunto la duplice ratio di favorire il ricambio generazionale e di contenere la spesa pubblica atteso il “carattere limitato delle risorse pubbliche che giustifica la necessità di una predeterminazione complessiva – e modellata su un parametro prevedibile e certo – delle risorse che l’amministrazione può corrispondere a titolo di retribuzioni e pensioni” (cfr. Corte Costituzionale n. 124/2017; SRC; Lombardia n. 126/2022).
Nel 2014 il Ministro per la semplificazione della pubblica amministrazione per dare risposta ai molteplici dubbi applicativi originati dalla disposizione, ha emanato due circolari (n. 6/2014 integrata dalla successiva n. 4/2015) nelle quali ha chiarito che “la disciplina in esame pone puntuali norme di divieto, per le quali vale il criterio di stretta interpretazione ed è esclusa l’interpretazione estensiva o analogica (come chiarito dalla Corte dei conti, Sezione centrale del controllo di legittimità sugli atti del Governo e delle amministrazioni dello Stato, deliberazione n. 23/2014/Prev del 10 settembre 2014). Gli incarichi vietati, dunque, sono solo quelli espressamente contemplati: incarichi di studio e di consulenza, incarichi dirigenziali o direttivi, cariche di governo nelle amministrazioni e negli enti e società controllati…”. La circolare ha, inoltre, precisato che, ai fini dell’applicazione dei divieti, occorre prescindere dalla natura giuridica del rapporto, dovendosi invece considerare l’oggetto dell’incarico, al contempo sottolineando l’esigenza di una interpretazione antielusiva.
Per completezza si precisa inoltre che, mentre il primo capoverso del citato art. 5, comma 9, riguarda gli “incarichi di studio e consulenza”, la seconda parte richiama anche le “collaborazioni”.
Sulla portata dei predetti divieti sono intervenute numerose pronunce delle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti con le quali si è, ad esempio, ritenuto legittimo il conferimento di un incarico a personale in quiescenza per lo svolgimento (retribuito) di funzioni di staff al Sindaco, ai sensi dell’art. 90 TUEL, purché il medesimo non abbia ad oggetto l’espletamento di funzioni dirigenziali, direttive, di studio o di consulenza (cfr. SRC Liguria n. 27/2016; SRC Basilicata n. 38/2018; SCR Lombardia n. 126/2022).
Sono stati, inoltre, pacificamente considerati esclusi dal divieto gli incarichi di docenza e quelli di membro di commissioni esaminatrici.
Il carattere tassativo della norma in esame è stato ribadito anche da diverse pronunce della giurisprudenza amministrativa nelle quali si sottolinea come, a fronte della previsione dell’art. 5 citato quale limite ad un diritto costituzionalmente garantito (quello di esplicare attività lavorative sotto qualunque forma giuridica), non siano consentite interpretazioni estensive o analogiche (cfr. parere del Consiglio di Stato n. 309 del 15 gennaio 2020 e, tra le più recenti, TAR Catania Sez. II, 28 maggio 2024, n.1986).
La tassatività delle fattispecie vietate fa sì che le attività consentite si possano ricavare a contrario, non potendo le attività diverse da quelle elencate essere ricomprese nel divieto di legge.
In tale prospettiva, alcune recenti decisioni della giurisprudenza contabile hanno circoscritto il divieto agli incarichi di studio e di consulenza ritenendoli esclusi per “attività di mera condivisione” quali la “formazione operativa e il primo affiancamento del personale neo assunto” (SRC Liguria n. 66/2023) o le “attività di mera assistenza” (SRC Basilicata, n. 38/2018; SRC Lombardia, n. 126/2022; SRC Lazio n. 88/2023 e n. 80/2024; SRC Liguria n. 133/2023).
Altra giurisprudenza ritiene che l’attività di supporto e formazione in determinate materie al personale neoassunto si sostanzi, tout court, in una consulenza specialistica che ricade nel divieto dell’art. 5 citato (cfr. SRC Sardegna n. 139/2022 e n. 90/2020).
Fatti questi richiami la Sezione osserva che per l’esatta qualificazione dell’attività oggetto del quesito occorre valutare con attenzione l’oggetto dell’incarico anche per evitare interpretazioni antielusive delle norme sopra richiamate.
Solo se l’attività da svolgere è di supporto, affiancamento e assistenza a personale neoassunto ed è limitata ad una formazione di orientamento ed al primo affiancamento, circoscritta nel tempo (poche settimane), l’attività può essere qualificata di mera assistenza e, quindi, non ricompresa nei limiti e divieti della normativa suindicata.
Ove, invece, essa consista in un supporto qualificato per adiuvare o formare il neoassunto nello svolgimento di determinate materie (ad es. edilizia, appalti, discipline finanziarie) l’attività va qualificata come consulenza che rientra tra gli incarichi di collaborazione ad esperti ai sensi dell’art. 7, comma 6, del D.lgs. 165/2001.
La Sezione non può esimersi dal rilevare che l’attività di formazione del neoassunto non richiede, di norma, una “mera assistenza” ma, in presenza di attività complesse, un sostegno conoscitivo da parte di un esperto, maturato nella pregressa esperienza e conoscenza.
Per tale ragione la formazione del personale, sia in ambito pubblico che privato, viene affidata ad esperti mediante contratti di consulenza ovvero di collaborazione a titolo oneroso; prestazioni vietate ai dipendenti in quiescenza (e anche ai dipendenti cessati dal servizio ma non ancora in quiescenza nei termini stabiliti dall’art. 24 della L. 724/1994).
Peraltro, nelle pubbliche amministrazioni, in disparte le verifiche sulle competenze e conoscenze, anche pratiche, effettuate in sede concorsuale, è ormai esperienza comune che i neoassunti seguano percorsi di formazione in house/aula, attraverso appositi corsi piuttosto che su varie piattaforme on line (cfr. la nuova piattaforma on line del Dipartimento della Funzione pubblica Syllabus – Direttiva Formazione 2024).
L’esigenza di formazione, riqualificazione e aggiornamento per natura specialistica riguarda tutti i dipendenti pubblici tanto che l’art. 6 del D.L. 80/2021, convertito in L. n. 113/2021 ha previsto regolare attività di formazione attraverso il Piano Integrato di Attività e di Organizzazione (PIAO).
Si tratta, in buona sostanza, di attività che richiedono competenze specialistiche e che non possono essere ricomprese nella nozione di “assistenza”, al solo fine di eludere le chiare e precettive limitazioni delle norme sopra richiamate.
Alla luce di questa ricostruzione giurisprudenziale e normativa, è riservato al Comune valutare se, nel concreto, l’oggetto dell’incarico da affidare all’ex dipendente in pensione abbia -come di primo acchito sembra- le caratteristiche di un incarico di consulenza (vietato a titolo oneroso, ma consentito a titolo gratuito) o quelle di un incarico di mera assistenza (ammesso).