IMU: negare la destinazione e qualificazione di un immobile ad abitazione principale
Con sentenza n.1447 del 30/01/2024, la Corte di giustizia tributaria di primo grado del Lazio - Sez. XIII ha affermato che negare il beneficio dell’agevolazione IMU basandosi soltanto sui bassi consumi domestici (idrici e del gas) non è persuasivo e non è sufficiente, sul piano sintomatico, per giungere a negare il presupposto della dimora abituale e, di conseguenza, il beneficio dell'esenzione dall'IMU, ai sensi del previgente art.13, comma 2, D.L. n. 201 del 2011, conv. in L. n. 214 del 2011, in favore dei contribuenti.
Nel caso specifico, l’Ente impositore aveva emesso un avviso di accertamento a titolo di insufficiente e/o omesso versamento dell'IMU 2016, oltre a sanzioni, interessi ed accessori, in relazione ad un immobile al quale non potesse essere riconosciuta la destinazione e qualificazione ad abitazione principale, contrariamente dichiarata dal contribuente.
Secondo l’Ente, dovendosi intendere, ai fini IMU, come abitazione principale l'immobile iscritto in Catasto come unica unità immobiliare in cui il possessore ed il suo nucleo familiare dimorino abitualmente e risiedano anagraficamente, l'immobile non poteva considerarsi adibito ad abitazione principale della contribuente, in difetto di prova del requisito della dimora abituale;
Nella fattispecie, l'Ente sosteneva che mancassero la concomitanza delle due condizioni necessarie e richieste per riconoscere la sussistenza dello stato di abitazione principale nell'immobile de quo in capo alla contribuente e ciò in quanto il certificato dello stato di famiglia composto da tre persone (madre + due figli), prodotto dalla ricorrente, comprovava la mera residenza anagrafica del nucleo familiare, ma non dimostrava la presenza dell'altro requisito necessario allo scopo, ossia quello della dimora abituale in loco.
Più precisamente, il Comune si era basato principalmente sui bassi consumi delle utenze domestiche dell’immobile che non potevano essere paragonati ad uno standard di stile di vita di una famiglia composta da tre persone, ritenendo questi davvero irrisori rispetto alle medie nazionali. Elemento ritenuto determinante, in fase accertativa, per comprendere che tale abitazione non fosse luogo di residenza e dimora abituale.
I giudici hanno ritenuto che il ragionamento presuntivo del Comune, basato esclusivamente sui ridotti (ma non insignificanti) consumi elettrici del nucleo familiare della contribuente nel corso dell'anno 2016 non fosse corretto e determinante per disconoscere l’agevolazione dell’abitazione principale.
Lo stile lavorativo e di vita quotidiana della contribuente, risultante pendolare giornaliera per motivi di lavoro, secondo i giudici, appariva compatibile con la dimora abituale della stessa e giustificava motivatamente, nel periodo di riferimento, una presenza non assidua ma continua in casa nel corso dell'anno. Stesse considerazioni dovevano essere fatte valere circa le verosimili presenze ridotte dei due figli della contribuente in quanto studenti in altro Comune.
Nella motivazione di accoglimento del ricorso della contribuente si legge: Il Collegio ritiene che la residenza anagrafica della ricorrente non sia fittizia e che si possano privilegiare nel merito le documentate argomentazioni fatte valere dalla ricorrente per giustificare e spiegare i ridotti (ma, ripetesi, non insignificanti) consumi elettrici rilevati dall'ente impositore ed idonee a fare riconoscere, per l'anno 2016, il carattere di dimora abituale della Signora (...) e del suo nucleo familiare nell'immobile.
Dunque, la pretesa dell’Ente risulta priva dei presupposti legittimanti, in fatto ed in diritto, per sostenere la fondatezza dell'avviso di accertamento emesso.