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IMU: l'inagibilità e il principio di collaborazione

Con sentenza n. 7569/2023 del 30/12/2023, la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio Sezione 9 ha affermato che "in virtù del principio di collaborazione e buona fede tra ente impositore e contribuente, ai sensi dell'art. 10, comma 1, della l. n. 212 del 2000, non possono essere richiesti documenti ed informazioni già in possesso dell'Ufficio” (dr. Cass. Sez. 6- 5, ordinanza n. 13822 del 31/05/2018, Rv. 648696 - 01; id. Sez. 5, sentenza n. 12015 del 10/06/2015, Rv. 635869 - 01; nello stesso senso, da ultimo, Cass. Sez. 6 - 5, ordinanza n. 8592 del 26/03/2021, Rv. 660884 - 01,)".

La controversia esaminata riguardava la pretesa impositiva da parte dell’Ente che reclamava una maggiore imposta IMU e TASI per omesso o parziale versamento per l'anno 2015, relativamente ad un complesso immobiliare oggetto di demolizione e ricostruzione.

La ricorrente, dal canto suo, reclamava il diritto di usufruire della riduzione delle imposte - in ragione dello stato di inagibilità degli immobili interessati - nella misura del 50%, ai sensi dell'art. 8 del d.lgs. n. 504/1992. Circostanza che veniva motivata dal fatto che l’immobile era stato privato dei servizi igienici, nell'ambito di un progetto di demolizione e ricostruzione dell'esistente complesso immobiliare oggetto di accertamento.

La Corte di giustizia di primo grado di Roma aveva espresso parere favorevole nei confronti dell’Ente, in quanto la contribuente non aveva dato rilevanza dell’ effettiva inagibilità degli immobili e della prova dei lavori di demolizione e ricostruzione.

Diversamente, la Corte di giustizia di secondo grado riteneva l'appello della contribuente fondato su censure che meritavano accoglimento.

Premesso che, per l’anno 2015, la normativa di riferimento era dettata dal d.l. 2 marzo 2012, n. 316, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, che, apportando modifiche al precedente regime, aveva previsto la riduzione del 50% della base imponibile per i fabbricati dichiarati inagibili o inabitabili e di fatto non utilizzati, limitatamente al periodo dell'anno durante il quale sussistono dette condizioni, attribuendo ai Comuni la possibilità di disciplinare le caratteristiche di fatiscenza sopravvenuta del fabbricato, non superabile con interventi di manutenzione.

Dal canto suo l’Ente, nel proprio regolamento (approvato nel 2012), in materia di imposta municipale propria, aveva disciplinato che “l'inagibilità o inabitabilità consiste in un degrado fisico sopravvenuto (fabbricato diroccato, pericolante, fatiscente), non superabile con interventi di ordinaria o straordinaria manutenzione, così come definiti dall'articolo 3, lettere a) e b), del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380. L 'inagibilità o inabitabilità è accertata dall'ufficio tecnico comunale con perizia a carico del proprietario, che allega idonea documentazione alla dichiarazione. In alternativa, il contribuente ha facoltà di presentare una dichiarazione sostitutiva ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica dicembre 2000, n. 445, rispetto a quanto previsto dal periodo precedente”.

I giudici, sebbene non risultasse che la ricorrente avesse ottemperato alla presentazione della documentazione per dimostrare lo stato di inagibilità o inabilità degli immobili in questione, in riferimento all'annualità accertata, non ritenevano di poter ignorare alcune rilevanti considerazioni:

“In primo luogo, risulta rilevante la produzione di apposita fattura di lavori di demolizione dei servizi igienici, il cui intervento rende già di per sé chiaro, si direbbe ontologicamente, il concetto di inagibilità e/o inabitabilità dell'immobile, secondo i dettami previsti dalla legge in materia;

In secondo luogo, in virtù del principio di collaborazione e buona fede tra ente impositore e contribuente, non possono essere richiesti documenti ed informazioni già in possesso dell'Ufficio, cioè non è possibile che l'ente comunale per un verso rilasci regolare autorizzazione ad un intervento di demolizione e ricostruzione e, successivamente e peraltro verso, agisca e si muova ignorando un atto del proprio ufficio a discapito del contribuente”.

Nell’anno 2012, infatti, l’Ente aveva rilasciato un permesso di costruire e i giudici ritengono che tale circostanza debba essere considerata come nota all’Ufficio, a prescindere dalla omessa presentazione della dichiarazione di inagibilità da parte della contribuente.

Nelle motivazioni, altresì, viene richiamata la sentenza n. 28291 del 2017 della Corte di Cassazione in cui si stabiliva il principio che, "anche in assenza di una specifica richiesta del contribuente sussiste il diritto ad ottenere il trattamento agevolativo, non essendo necessaria la prova di fatti che siano già noti alla Pubblica Amministrazione mediante la avvenuta presentazione di idonea documentazione”.

La stessa Corte ha ulteriormente chiarito che, "esclusa la possibilità di separare i diversi settori in cui si esprime la competenza di un Ente locale (ad esempio l'Ufficio Tecnico comunale rispetto all'Ufficio Tributi), i rapporti con il contribuente devono comunque essere improntati al rispetto dei principi di collaborazione e di buona fede".