← Indietro

IMU - Immobili locati a canone concordato: la riduzione dell'aliquota base è una mera facoltà!

Il Consiglio di Stato, con Sentenza n. 106 del 3 gennaio 2024, dopo aver evidenziato che: “la condizione in cui versano i proprietari privati di alloggi dati in locazione a condizioni concordate o agevolate non è comparabile con quella in cui versano gli enti proprietari di alloggi di edilizia residenziale pubblica: questi ultimi, infatti, gestiscono un patrimonio immobiliare che è di proprietà pubblica e che è destinato all’uso di famiglie che si trovano in condizioni reddituali estremamente critiche: il rapporto che consegue alla assegnazione di un alloggio di edilizia residenziale pubblica non è di locazione ma di concessione, il canone di concessione tiene conto delle condizioni economiche dell’utilizzatore, e l’ente proprietario non agisce per conseguire un profitto, semmai solo il ristoro delle spese. 14.1. Al contrario, i proprietari degli alloggi locati a prezzo concordato o agevolato instaurano rapporti privatistici di locazione, hanno diritto ad ottenere un canone di locazione, oltre al rimborso delle spese, e hanno diritto ad ottenere, dal Comune [..], una somma a fondo perduto che va a compensare quella parte del canone alla quale essi rinunciano per addivenire alla stipula di un contratto a condizioni concordate. Oltre a ciò i proprietari in questione sono anche garantiti da un Fondo di garanzia che ridimensiona significativamente l’alea connessa alla solvibilità del locatario. É dunque evidente che questi proprietari possono trarre, anche dagli alloggi dati in locazione a condizioni agevolate, un reddito che giustificherebbe – malgrado la funzione sociale svolta - sia un trattamento differenziato rispetto agli alloggi ERP, sia l’imposizione di una aliquota IMU che non coincide con la minima possibile. 14.2. Non è poi neppure comparabile la situazione dei proprietari che utilizzano una unità immobiliare quale prima casa con quella dei proprietari che concedono alloggi in affitto perché siano utilizzati quale prima casa: ciò per la ragione che mentre i primi rinunciano a trarre un reddito dalla unità immobiliare, per utilizzarla direttamente quale prima casa, i secondi – come già precisato – traggono un reddito dall’alloggio.”, ha chiarito che l’art. 13, comma 9, D.L. 201/2011: “non obbliga i Comuni a fissare l’aliquota IMU degli immobili oggetto di locazione nello 0,4%: l’art. 13, comma 9, infatti, prevede a tale riguardo una mera facoltà dei comuni”.

Per queste ragioni il Consiglio di Stato ha respinto l’appello presentato dai proprietari di immobili locati, in parte per il tramite di un centro servizi, volto a favorire l'incontro della domanda e dell'offerta sul mercato delle locazioni (in favore degli abitanti a basso reddito familiare che versano in condizioni di emergenza abitativa) e in parte con contratti di locazione a canone agevolato, con cui si chiedeva la riforma della sentenza di primo grado, che avevano ritenuto illegittimo l’agire dell’amministrazione locale in tema di approvazione delle aliquote IMU, per non avere l’ente applicato le agevolazioni previste dall’art. 13, commi 9, D.L. 201/2011.

Si rammenta che l’art. 13, commi 6 e 7, D.L. n. 201/2011 stabiliva: “6. L'aliquota di base dell'imposta è pari allo 0,76 per cento. I comuni con deliberazione del consiglio comunale, adottata ai sensi dell'articolo 52 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, possono modificare, in aumento o in diminuzione, l'aliquota di base sino a 0,3 punti percentuali. 7. L'aliquota è ridotta allo 0,4 per cento per l'abitazione principale e per le relative pertinenze. I comuni possono modificare, in aumento o in diminuzione, la suddetta aliquota sino a 0,2 punti percentuali.”.

Il successivo comma 9 prevedeva: “I comuni possono ridurre l'aliquota di base fino allo 0,4 per cento nel caso di immobili non produttivi di reddito fondiario ai sensi dell'articolo 43 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, ovvero nel caso di immobili posseduti dai soggetti passivi dell'imposta sul reddito delle società, ovvero nel caso di immobili locati.”.

Nel caso oggetto della decisione il comune aveva fissato l’aliquota IMU allo 0,575% sia per immobili utilizzati dai proprietari quale prima casa, sia per gli immobili gestiti dall’ATC, sia per gli immobili concessi in locazione a titolo di abitazione principale alle condizioni stabilite dagli accordi territoriali in vigore ai sensi della L 431/98, art. 2 e art. 5, comma 2.

Secondo gli appellanti, però, l’ente locale anziché fissare una aliquota unica per tutti gli immobili predetti, avrebbe dovuto applicare la riduzione ex art. 13, comma 9, D.L. 201/2011.

Il Consiglio di Stato, però, ha chiarito che l’art. 13, comma 9, D.L. 201/2011 non stabilisce alcun obbligo, bensì una mera facoltà (come ben si comprende dal tenore anche letterale della disposizione) e proprio per questo ha ritenuto che: “Le censure degli appellanti si risolvono [...] in un inammissibile sindacato di merito sulla discrezionalità amministrativa, rispetto ad una scelta che non si palesa affetta da macroscopico travisamento di fatto o illogicità”, pertanto l’agire dell’amministrazione locale non ha determinato alcuna l’irragionevole disparità di trattamento, dovendosi ritenere conforme al dettato normativo.