IMU: Il fallimento di una società non permette all’Ente di accertare
Con ordinanza n. 18270 anno 2021 la Suprema Corte di Cassazione si è espressa sulla controversia tra una Società dichiarata fallita (con sentenza il 27 luglio 2012) e l’Ente che ha provveduto a notificare avvisi di accertamento per omesso versamento IMU per gli anni 2012 e 2013.
In prima istanza la società aveva eccepito tali avvisi, contestandone l’illegittimità, in quanto emessi successivamente alla sentenza dichiarativa del fallimento ed il Comune, dal canto suo, ribadiva che tale fallimento era stato revocato dalla Corte d’appello di Firenze.
La Corte, rigettando il ricorso, ha esposto le proprie motivazioni evidenziando che “la revoca della sentenza di fallimento produce i suoi effetti solo dal momento del passaggio ingiudicato e non dalla data della sua pubblicazione; di conseguenza la società non poteva aver riacquistato, come sostenuto dal Comune, la piena soggettività passiva IMU a seguito della revoca. La CTR aveva affermato, inoltre, che era di assoluta importanza non la data del periodo di imposta bensì il momento in cui si presentava la pretesa tributaria, successiva all’apertura del fallimento”.
Conseguentemente, l’Ente ha proposto ricorso per cassazione asserendo che:” l’apertura del fallimento non incide sull’obbligazione tributaria afferente agli immobili acquisiti alla massa fallimentare perché l’IMU continua a maturare senza soluzione di continuità per tutta la durata del fallimento e il rapporto tra le parti resta in essere. Il soggetto impositore ribadisce il suo dovere di esercitare il credito entro il termine di decadenza a carico del soggetto passivo, in questo caso fallito”.
Tali tesi del Comune non trovano fondamento per la Corte di Cassazione che chiarisce: “relativamente all’imposta maturata prima del fallimento, l’art. 44 della legge fallimentare prevede il divieto di esigere pagamenti dal fallimento dovendo il creditore insinuarsi al passivo. Per i debiti sorti successivamente, si applica invece l’art. 10 comma 6 del D.lgs. 504/1992, il quale prevede che: “per gli immobili compresi nel fallimento o nella liquidazione coatta amministrativa l’imposta è dovuta per ciascun anno di possesso rientrante nel periodo di durata del procedimento ed è prelevata, nel complessivo ammontare, sul prezzo ricavato dalla vendita. Il versamento dell’imposta deve essere effettuato entro il termine di tre mesi dalla data in cui il prezzo è stato incassato; entro lo stesso termine deve essere presentata la dichiarazione”. ll Comune non poteva legittimamente contestare l’omesso versamento dell’imposta per le annualità successive al fallimento, poiché il versamento si esegue con il “prelievo” dopo la vendita dell’immobile. Il versamento dell’imposta presuppone, quindi, il completamento del periodo di assoggettamento del fallimento all’imposta, in relazione all’immobile, perché tale periodo si conclude solo con il decreto di trasferimento della proprietà del bene all’aggiudicatario. Il “prelievo” dal ricavato del prezzo di vendita presuppone la “prelevabilità”, la quale non può darsi prima del decreto di trasferimento del bene in forza del R.D. 16 marzo 1942, n.267, art. 108. Solo in ipotesi di mancato trasferimento dell’immobile, e restituzione del bene al fallito, ricadrà su quest’ultimo l’onere di versamento dell’imposta una volta tornato in bonis, al fine di estinguere il debito maturato durante il periodo fallimentare”.