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Con la decisione n. 15901 del 08/06/2021 la Corte di Cassazione ha ribadito quanto già dalla stessa espresso con ordinanza n. 2194/2021: nel caso in cui due coniugi non risiedano anagraficamente nella stessa abitazione, non legalmente separati, l’immobile non deve considerarsi abitazione principale ai fini dell’imposta municipale propria.

Tale aspetto normativo era già stato ben esplicato nel D.L. n. 201 del 2011, art. 13, comma 2, in cui si leggeva “L’imposta municipale propria non si applica al possesso dell’abitazione principale e delle pertinenze della stessa, ad eccezione di quelle classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9 (...). Per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore ed il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente”.

E’ necessario avere ben presente la definizione di abitazione principale, intesa esclusivamente come il luogo in cui si realizza la contemporanea destinazione della stessa a residenza anagrafica del possessore e a sua dimora abituale. Se manca anche uno solo di questi requisiti, l'unità immobiliare non può definirsi abitazione principale. Pertanto, qualora ci trovassimo un'abitazione in cui il possessore dimori abitualmente ma nella quale non abbia la sua residenza anagrafica, non può considerarsi abitazione principale ai fini Imu.

D'altronde spesso nella prassi il concetto di abitazione principale è erroneamente confuso con quello di «prima casa», codificato dalle ben diverse norme agevolative previste nell'Iva e nell'imposta di registro.

Oramai la posizione della Cassazione risulta chiara e ferma: l’imposta è dovuta da entrambi i coniugi nella propria quota di possesso.

Tutto ciò non fa altro che agevolare gli Enti comunali al recupero dell’imposta dovuta, in quanto è risaputo che molti coniugi hanno sinora applicato arbitrariamente l’esonero dell’imposta, soprattutto per case site in luoghi turistici.