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IMU: l'abitazione principale e la prova della "rottura” dell’unione coniugale.

In materia di ICI- IMU, ai fini dell’applicazione dell’agevolazione prevista per l’abitazione principale per coniugi “separati di fatto” e residenti in comuni diversi, si è espressa la Cassazione, con l’ordinanza n. 31958 del 5/11/2021, chiarendo che è necessario comprovare la “rottura” dell’unione coniugale.

Ricostruiamo il fatto.

La controversia vedeva impugnati degli avvisi di accertamento da parte del contribuente/coniuge “separato”, relativi a ICI dal 2007 al 2011, in quanto, a suo avviso, l’Ente non aveva riconosciuto la detrazione prevista per la prima casa. Nel caso specifico si tratta di coniugi che hanno deciso di “separarsi”, e ciò ha comportato il trasferimento in altro comune della moglie del ricorrente.

Nei primi due gradi di giudizio, prima la Commissione Provinciale e poi quella Regionale, hanno riconosciuto la correttezza degli avvisi di accertamento ICI emessi dall’Ente, non trovando alcuna fondatezza nelle motivazioni presentate dal contribuente.

Giunti in Cassazione, La Suprema Corte, in tema d’imposta comunale sugli immobili (ICI), ha ribadito che: “ai fini della spettanza della detrazione prevista, per le abitazioni principali (per tale intendendosi, salvo prova contraria, quella di residenza anagrafica), dall’art. 8 del d.lgs. n. 504 del 1992 (come modificato dall’art.1, comma 173, lett. b), della I. n. 296 del 2006, con decorrenza dall’I gennaio 2007), occorreva che il contribuente provasse che l’abitazione costituiva dimora abituale non solo propria, ma anche dei suoi familiari, non potendo sorgere il diritto alla detrazione ove tale requisito fosse riscontrabile solo per il medesimo.

Il punto cardine, nel caso in questione, è che tale separazione dei coniugi era solo un accordo tra le parti. E ciò, piuttosto che costituire prova della permanenza del carattere familiare del domicilio, forniva la prova proprio del venir meno di tale carattere, essendo i coniugi ancora legalmente vincolati in matrimonio ma dislocati, per ragioni personali che non interessavano all’Ufficio impositivo, in dimore diverse.

I giudici hanno voluto sottolineare che, pur essendo davanti ad una separazione di fatto, si è comunque in assenza di un provvedimento giudiziario (di autorizzazione per un coniuge a vivere separatamente dall’altro) e ciò non consentiva di ritenere con certezza che il nucleo familiare si fosse effettivamente diviso.

Si ribadiva, altresì, che “in presenza di una accertata dislocazione della moglie dell’appellante in altro domicilio, doveva ritenersi che il requisito dell’abitualità della dimora si riferisse al solo contribuente, unico a fruire dell’abitazione, non più da ritenersi “familiare”.

Al fine di poter riconoscere eventuali detrazioni e riduzioni previste per l’unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo coniugato, si rende noto che, in precedenza, la stessa Cassazione, (n. 18096 del 2019) aveva già stabilito che: “non basta che il coniuge abbia trasferito la propria residenza nel comune in cui l’immobile è situato, ma occorre che in tale immobile si realizzi la coabitazione dei coniugi, atteso che, considerato che l’art. 144 c.c. prevede che i coniugi possano avere esigenze diverse ai fini della residenza individuale e fissare altrove quella della famiglia, ciò che assume rilevanza, per beneficiare di dette agevolazioni, non è la residenza dei singoli coniugi bensì quella della famiglia.” .

Si ricorda anche che, in materia di ICI e IMU, relativamente alle “Riduzioni e detrazioni dall'imposta” previste per l’abitazione principale, all’art. 8 del d.lgs. n. 504 del 1992 si legge al comma 2:

Dalla imposta dovuta per l'unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo, intendendosi per tale, salvo prova contraria, quella di residenza anagrafica, si detraggono, fino a concorrenza del suo ammontare, lire 200.000 rapportate al periodo dell'anno durante il quale si protrae tale destinazione;

Poi modificato dall’art. 1, comma 173, lett. b, della Legge n. 296 del 2006 in cui si specifica: “ dopo le parole: "adibita ad abitazione principale del soggetto passivo" sono inserite le seguenti: ", intendendosi per tale, salvo prova contraria, quella di residenza anagrafica,";

Come definitivamente chiarito dall’art. 1, comma 741, lett. b), 1° e 2° periodo, della L. n. 160 del 2019, per abitazione principale si deve intendere l’immobile nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente.

La Cassazione ha respinto il ricorso e ha dato atto della correttezza degli avvisi emessi dall’Ente.