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Il vincitore di concorso ha diritto all’assunzione

La Corte di Cassazione Civile, Sezione Lavoro, con sentenza 23 giugno 2020, n. 12368 ha prodotto la seguente massima: “La pretesa azionata dal vincitore di un pubblico concorso bandito da un piccolo Comune non soggetto al patto di stabilità interno, posizionatosi al primo posto della relativa graduatoria finale, a causa della propria mancata assunzione in servizio – della quale il giudice del merito abbia ritenuto l’illegittimità in considerazione dell’assenza di impedimenti dovuti ad impossibilità sopravvenuta o a circostanze indipendenti dalla volontà della pubblica amministrazione non investe provvedimenti discrezionali, ma atti negoziali, relativi alla fase della gestione del rapporto di lavoro, cui si correlano diritti soggettivi”.

Motivazioni:

A partire dalla legge finanziaria per il 1999 è stato introdotto nel nostro ordinamento il Patto di stabilità interno (art. 28 della legge 23 dicembre 1998, n. 448) come fondamentale strumento di coordinamento della finanza pubblica, finalizzato ad istituire il concorso delle Regioni e degli enti locali “alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica che il Paese ha adottato con l’adesione al Patto di stabilità e crescita” (PSC) stipulato nel 1997 tra gli Stati membri dell’Unione europea per garantire il controllo delle rispettive politiche di bilancio pubblico, con l’assunzione dell’impegno degli enti medesimi a ridurre il finanziamento in disavanzo delle proprie spese e il rapporto tra il proprio ammontare di debito e il prodotto interno lordo”.

Dal 2002 in poi e, in particolare, nel periodo dal 2005 al 2012 sono stati esclusi dall’applicazione del patto di stabilità interno i comuni con popolazione fino a 5000 abitanti. E’’ indubbio, quindi, che tale esclusione riguardi il Comune di Roscigno;

Il comune ha discrezionalmente scelto di procedere all’approvazione della graduatoria finale del concorso con la delibera n. 41 del 16 aprile 2007; tale scelta del Comune ha determinato l’esaurimento dell’ambito riservato al procedimento amministrativo e all’attività autoritativa dell’Amministrazione ed il subentro, grazie alla pubblicazione della graduatoria, di una fase in cui i comportamenti della pubblica amministrazione vanno ricondotti nell’alveo privatistico, espressione del potere negoziale dell’Amministrazione nella veste di datrice di lavoro;

Come tali essi sono da valutare alla stregua dei principi civilistici in materia di inadempimento delle obbligazioni (vedi, per tutte: Cass. SU 13 novembre 2019, n. 29463).

Poiché, come si è detto, con il superamento del concorso e l’approvazione della relativa graduatoria, indipendentemente dalla nomina, si è consolidata nel patrimonio dell’interessato una situazione giuridica individuale di diritto soggettivo, alla quale vanno riferiti tutti gli atti successivi, la pretesa azionata dal privato inerisce alla tutela di tale diritto che va configurato come vero e proprio diritto ad essere assunto.

I comportamenti della pubblica amministrazione posti in essere al riguardo vanno valutati alla luce dei suindicati principi civilistici sull’adempimento delle obbligazioni e principalmente dei criteri generali di correttezza e buona fede (art. 1175 e 1375 cod. civ.) contrattuali, applicabili alle Pubbliche Amministrazioni nel lavoro pubblico contrattualizzato alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento di cui all’art. 97 Costituzione.

Va anche tenuto presente che l’art. 91, comma 4, del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 stabilisce che: “per gli enti locali le graduatorie concorsuali rimangono efficaci per un termine di tre anni dalla data di pubblicazione per l’eventuale copertura dei posti che si venissero a rendere successivamente vacanti e disponibili” e che tale disposizione trova riscontro nell’art. 35, comma 5-ter, del d.lgs. n. 165 del 2001 (inserito dall’art. 3, comma 87, legge 24.12.2007, n. 244) secondo cui: “le graduatorie dei concorsi per il reclutamento del personale presso le Amministrazioni pubbliche rimangono vigenti per un termine di tre anni dalla data di pubblicazione”;

Tali termini di durata sono stati, nel tempo, ulteriormente ampliati, con ulteriori norme particolari, principalmente al fine del contenimento della spesa, oltre che per una migliore organizzazione della pubblica amministrazione, pure nell’ottica di rispettare i vincoli di bilancio, sempre più stringenti, posti dall’Unione Europea (vedi, per tutte: Cons. Stato, Ad. Plen., sentenza 28 luglio 2011, n. 14);

La pretesa azionata non investe provvedimenti discrezionali della P.A., ma atti negoziali, relativi alla fase della gestione del rapporto di lavoro, cui si correlano diritti soggettivi (vedi, fra le tante: Cass. SU 13 dicembre 2007, n. 26113; Cass. SU 4 aprile 2008, n. 8736; Cass. SU 23 aprile 2008, n. 10459; Cass. SU 18 giugno 2008, n. 16527).

Pertanto, una simile situazione rientra a pieno titolo nell’ambito applicativo dell’art. 63, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001 e ciò comporta che il giudice ordinario ha anche il potere di adottare nei confronti della pubblica amministrazione qualsiasi tipo di sentenza, ivi comprese le sentenze di condanna ad un “facere” e, in particolare, le sentenze aventi effetto costitutivo del rapporto di lavoro laddove il riconosciuto diritto all’assunzione non abbia portato all’assunzione stessa per violazione di norme sostanziali o procedurali.

Questa è una conseguenza del riconoscimento in capo al lavoratore interessato di un diritto soggettivo pieno al rispetto da parte della pubblica amministrazione datrice di lavoro dei principi civilistici sull’inadempimento delle obbligazioni – a partire dal generale obbligo di correttezza e buona fede – che implica il rispetto della graduatoria finale del concorso pure con riguardo al tempo della assunzione e al termine di durata della graduatoria medesima (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4436; Cass. 22 ottobre 2019, n. 26966).