Da rifiuto urbano a rifiuto speciale: l'importanza degli effetti del trattamento
Con la sentenza n. 1533 del 31 ottobre 2023, il TAR per il Veneto ha chiarito che “... indipendentemente dalla circostanza che il rifiuto urbano derivi dalla raccolta differenziata, esso può divenire un rifiuto speciale se (e solo se) viene prodotto da un impianto di trattamento (in tal senso vedasi la citata descrizione del codice “19”), e, con particolare riferimento ai rifiuti con codice 19.12.12 conferiti nell’impianto della ricorrente, se tale “trattamento” del rifiuto non pericoloso sia consistito in un processo svolto meccanicamente che abbia modificato le originarie caratteristiche del rifiuto (cfr. l’art. 183, comma 1°, lett. s), del T.U.A., e l’art. 2, comma 1°, lett. h), del D.Lgs. n. 36/2003). La normativa appena citata non pone dunque l’accento sul carattere differenziato della provenienza del rifiuto ma sulla novità del prodotto esitato dalle operazioni di trattamento meccanico, rendendo così necessario accertare l’oggettiva trasformazione del rifiuto a valle. Questa conclusione si impone a maggior ragione all’indomani dell’abrogazione -ad opera dell'art. 2, comma 21°-bis, del D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4-, della lettera n), del terzo comma dell’articolo 184 del T.U.A., secondo la quale erano da ricondursi automaticamente alla categoria dei rifiuti speciali anche i “rifiuti derivanti dalle attività di selezione meccanica dei rifiuti solidi urbani”. La giurisprudenza amministrativa alla quale il Collegio aderisce ha infatti precisato, in proposito, che tale abrogazione non ha comportato la diretta riconducibilità dei rifiuti derivanti dalla selezione meccanica dei rifiuti solidi urbani nella categoria dei rifiuti speciali di cui alla lett. g) dello stesso articolo 184, comprendente i “rifiuti derivanti dall’attività di recupero e smaltimento di rifiuti” (vd. in tal senso C.d.S. n. 5242/2014). E tale ultima norma è stata interpretata conformemente al diritto euro-unitario ritenendo che “al rifiuto derivante da un’operazione di trattamento può essere legittimamente attribuito un codice CER nuovo rispetto a quello che il rifiuto aveva in origine solo se i due rifiuti sono diversi e cioè se l’operazione di recupero o di smaltimento ha prodotto un nuovo rifiuto” (cit. sent. del C.d.S. n. 5242/2014; per un caso di rifiuto secco non riciclabile originato dalla raccolta differenziata effettuata nella provincia di Treviso e sottoposto ad un procedimento industriale che lo aveva trasformato in combustibile da rifiuto, ossia in un prodotto del tutto nuovo e diverso da quello originario, si veda C.d.S. n. 2812/2016). Anche in tempi più recenti il Consiglio di Stato ha avuto modo di ribadire che la possibilità di attribuire a un rifiuto il codice 19.12.12 dipende dall’accertamento della coesistenza di due elementi, vale a dire che non siano presenti componenti pericolose e che il materiale in questione sia assoggettato ad una procedura preliminare qualificabile come “trattamento meccanico”, aggiungendo che “ciò che conta è la natura effettiva del rifiuto alla luce delle caratteristiche che il medesimo presenta in esito al processo di trattamento cui è sottoposto” (cfr. C.d.S. n. 849/2023). Da ultimo, le Linee Guida sulla classificazione dei rifiuti del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (S.N.P.A.), approvate con decreto direttoriale del Ministero della Transizione Ecologica assunto al prot. n. 47 del 9 agosto 2021, hanno chiaramente stabilito che “una condizione essenziale affinché i rifiuti derivanti dal trattamento siano classificabili con codici dell’elenco europeo differenti rispetto a quello del rifiuto d’origine è che il processo abbia portato alla formazione di un rifiuto differente dal punto di vista chimico-fisico (tra cui, composizione, natura, potere calorifico, caratteristiche merceologiche, ecc.)”.”
Per queste ragioni, nel caso di sottoposto alla sua valutazione, il TAR ha rigettato il ricorso, non avendo il ricorrente fornito elementi utili a dar prova che: “il rifiuto ha perduto le caratteristiche originarie di rifiuto urbano, per l’effetto individuando la tipologia di trattamento cui il rifiuto ingombrante viene sottoposto prima del conferimento in discarica, e, soprattutto, dando prova della sussistenza in concreto di un aliquid novi in termini di:
-composizione del rifiuto da conferire, discutendosi del trattamento effettuato sul medesimo ingombrante non pericoloso in ingresso all’impianto di trattamento;
-sue caratteristiche fisiche, non essendo noto in che termini sia esitato il rifiuto prodotto dal trattamento di triturazione;
-sue caratteristiche chimiche, non conoscendosi se e quali proprietà il rifiuto abbia perduto (e/o conservato) in seguito all’operazione risultante dalla triturazione ed eventuale compattazione;
-suo (eventualmente diverso) potere calorifico.”.
A sostegno della sua decisione, il TAR cita anche una sentenza della Corte di Giustizia dell’U.E. - sentenza dell’11 novembre 2021, in causa C-315/20- con la quale è stato osservato che: “non è dirimente l’attribuzione di un dato codice al fine di sussumere il rifiuto tra quelli speciali, tanto da precisare che “i rifiuti urbani non differenziati che siano stati classificati alla voce 19 12 12 del CER a seguito di un trattamento meccanico ai fini del loro recupero energetico, trattamento che non ha tuttavia sostanzialmente alterato le proprietà iniziali di tali rifiuti, devono essere considerati come rientranti tra i rifiuti urbani non differenziati provenienti dalla raccolta domestica, previsti da tali disposizioni, nonostante il fatto che queste ultime menzionino il codice 20 03 01 del CER” (§ 29).”.