CUP – L’ambito di applicazione del “canone antenne”
Premesso che l’art. 1, comma 831 bis, L. 160/2019 stabilisce: “Gli operatori che forniscono i servizi di pubblica utilità di reti e infrastrutture di comunicazione elettronica di cui al codice delle comunicazioni elettroniche, di cui al decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, e che non rientrano nella previsione di cui al comma 831 sono soggetti a un canone pari a 800 euro per ogni impianto insistente sul territorio di ciascun ente. Il canone non è modificabile ai sensi del comma 817 e ad esso non è applicabile alcun altro tipo di onere finanziario, reale o contributo, comunque denominato, di qualsiasi natura e per qualsiasi ragione o a qualsiasi titolo richiesto, ai sensi dell'articolo 93 del decreto legislativo n. 259 del 2003. I relativi importi sono rivalutati annualmente in base all'indice ISTAT dei prezzi al consumo rilevati al 31 dicembre dell'anno precedente. Il versamento del canone è effettuato entro il 30 aprile di ciascun anno in unica soluzione attraverso la piattaforma di cui all'articolo 5 del codice di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82.”, la Corte d’Appello di Brescia, con la sentenza n. 1620/2023, ha stabilito la non applicazione del canone unico patrimoniale sulle reti ed infrastrutture di comunicazione elettronica (cd. canone antenne), di cui al predetto articolo, agli impianti che insistono su beni patrimoniali disponibili dell’ente locale, oggetto di contratti di locazione.
La C.d.A. di Brescia precisa infatti che: “pacifico che un bene non è pubblico (dunque soggetto al regime differenziato previsto per il demanio e il patrimonio indisponibile ex artt. 823 e 9828 c.c.) per il semplice fatto di appartenere a un ente pubblico (art. 1 R.D. n. 2440/1923). I beni facenti parte del patrimonio disponibile di un ente pubblico ricevono un trattamento giuridico uguale ai beni dei soggetti privati.”. Sul punto la Corte richiama le Sezioni Unite della Cassazione, le quali con sentenza n. 391/1999 hanno chiarito che: "Affinché un bene non appartenente al demanio necessario possa rivestire il carattere pubblico proprio dei beni patrimoniali indisponibili perché "destinati ad un pubblico servizio" ai sensi dell'art. 826, comma 3, c.c. deve sussistere un doppio requisito: la manifestazione di volontà dell'ente titolare del diritto reale pubblico e perciò un atto amministrativo da cui risulti la specifica volontà dell'ente di destinare quel determinato bene ad un pubblico servizio e l'effettiva ed attuale destinazione del bene al pubblico servizio".
L’aver destinato, come nel caso analizzato dalla C.d.A. di Brescia, l'area di proprietà dell’ente locale alla produzione di reddito, mediante una locazione a favore di un'azienda privata, che, a sua volta svolge il servizio di pubblica utilità di comunicazione elettronica, non rientra nelle attribuzioni del Comune e dunque l’utilizzo dell’area predetta da parte del privato conduttore, non rende pubblico il bene del Comune, né a tale scopo “può ritenersi sufficiente il titolo abilitativo edilizio rilasciato per l'installazione dell'impianto di telecomunicazione come atto di destinazione del bene a patrimonio indisponibile.”.
Si aggiunga che il presupposto impositivo del CUP, ai sensi dell'art. 1, comma 819, lett. a), L. 160/2019 è l'occupazione, anche abusiva, delle aree appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile degli enti e degli spazi soprastanti o sottostanti il suolo pubblico;
Quanto deciso dalla C.d.A. di Brescia, in realtà era già stato chiarito dall’IFEL nella nota interpretativa del 2 novembre 2021 ,riguardo l’applicazione della nuova disciplina del canone “reti ed infrastrutture di comunicazione elettronica”, attraverso la quale la Fondazione osservava: “rimangono esclusi dall’applicazione del canone unico gli impianti posizionati su beni patrimoniali disponibili dell’ente, la cui presenza è regolata da contratti di locazione disciplinati dalle norme di diritto privato. Per tale tipologia di beni, infatti, la pubblica amministrazione si comporta alla stregua di qualsiasi soggetto privato e può, quindi, legittimamente prevedere il pagamento di un canone di locazione da parte del soggetto occupante il suolo pubblico, non trovando applicazione la disciplina del canone unico.”.