Corte Costituzionale si esprime sulle proroghe della graduatorie
La Corte costituzionale si è pronunciata, con la sentenza n. 58 del 31 marzo 2021, sul tema delle graduatorie concorsuali e, nello specifico, sulla legittimità delle proroghe di validità delle stesse introdotte dalla L. n. 160/2019 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022).
Secondo quanto lamentato dalla ricorrente (una Regione autonoma), i commi 147 e 149 dell’art. 1 della L. n. 160/2019 introducono una disciplina in contrasto con il quadro delle competenze statutarie e costituzionali alla stessa attribuite, dal momento che tali disposizioni incidono sul periodo di validità delle graduatorie concorsuali adottate a seguito di selezioni pubbliche.
Nello specifico, le censure rivolte al comma 147 del citato art. 1 dipendono principalmente dal fatto che suddetta norma «dispone la proroga della validità temporale delle graduatorie in essere nelle pubbliche amministrazioni, a partire da quelle approvate dal 1° gennaio 2011, differenziata a seconda del termine di approvazione, e per quelle più risalenti condiziona il reclutamento a ulteriori adempimenti procedurali, quali la frequenza di corsi di aggiornamento e formazione e il superamento di apposito esame-colloquio», mentre quelle mosse al comma 149 del medesimo articolo hanno a oggetto il fatto che la norma ha «ridotto da tre a due anni la durata della validità, a regime, delle graduatorie, stabilita dall’art, 35, comma 5-ter, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze della amministrazioni pubbliche)».
Tali disposizioni, in base a quanto sostenuto dalla Regione autonoma, violerebbero la competenza legislativa primaria attribuita alla ricorrente dall’art. 2 della L. costituzionale n. 4/1948, nelle materie dell’«ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla Regione e stato giuridico e economico del personale» e dell'«ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni».
I giudici costituzionali precisano che in materia di procedure concorsuali pubblicistiche per l’accesso all’impiego regionale, nonché di regolamentazione delle graduatorie, la presente Corte ha già avuto modo di pronunciarsi con la sentenza n. 273/2020, chiarendo che tali aspetti «rientrano nella competenza legislativa residuale in materia di ordinamento e organizzazione amministrativa delle Regioni» di cui all’art. 117, comma IV, Cost. Inoltre, la competenza di cui sopra spetta anche alla ricorrente, in virtù della c.d. clausola di favore prevista all’art. 10 della L. costituzionale n. 3/2001. Essa, infatti, per effetto dell’applicazione dell’art. 117, comma IV, Cost., è titolare della competenza legislativa residuale in materia di «ordinamento e organizzazione amministrativa regionale, più ampia della competenza primaria statutaria nelle materie ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla Regione e stato giuridico ed economico del personale ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni, che incontra il limite delle norme fondamentali di riforma economico-sociale».
I giudici costituzionali proseguono affermando che, sulla base di tali presupposti, deve escludersi che le norme censurate, le quali dettano una disciplina puntuale del termine di validità delle graduatorie, siano da applicarsi anche alle Regioni autonome, dal momento che si riferiscono in maniera generica alle Amministrazioni Pubbliche ex art. 1, comma II, del D. lgs. n. 165/2001.
Ne consegue, dunque, che non vi sia alcuna violazione della competenza regionale residuale, né del principio di leale collaborazione, visto che le norme in esame non sono idonee a produrre alcun effetto all’interno del territorio della ricorrente.
A medesima conclusione deve giungersi anche nell’ipotesi in cui si volesse configurare la disciplina delle validità delle graduatorie concorsuali in termini di disciplina recante principi di coordinamento della finanzia pubblica, poiché la stessa non potrebbe imporsi a una Regione autonoma se non in forza di un apposito accordo (come da ultimo ribadito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 273/2020).