Controlli ex art. 5 del TUSP da operare anche in caso di mutamento dello status di socio pubblico
Nell’ambito dei controlli imposti dai co. 3 e 4 dell’art. 5 del TUSP, la Corte dei conti Lazio, analizzando una peculiare operazione progettata da un Ente locale, ha fornito un interessante riscontro con la deliberazione n. 59/2023/PASP, utile per le Amministrazioni che hanno in corso analoghe valutazioni.
Nel caso di specie, il Comune ha prospettato l’acquisizione del 49% delle quote di una società mista indiretta di III livello, attualmente detenute da soggetti privati, da parte della società proprietaria del restante 51% del capitale, che risulta, per via indiretta, totalmente partecipata dall’Ente locale; il Collegio ha dunque ritenuto che, in questo caso particolare, l’operazione prospettata ricadesse comunque “nella fattispecie di cui all’art. 5, comma 1, del Tusp e non in quelle ‘operazioni straordinarie’ ex art. 8 del Tusp che, come osservato dalle Sezioni riunite in sede di controllo (n. 19/2022/QMIG), devono ritenersi non assoggettate a parere, ove non determinino mutamenti sostanziali di status, ma solo mutamenti di forma giuridica o variazioni patrimoniali della partecipazione che non incidono sulla governance e sul controllo pubblico”. Ciò in quanto, nonostante la società non rappresentasse formalmente una nuova partecipazione, “l’operazione consiste nell’acquisto di partecipazione cui corrisponde un mutamento dello status di socio pubblico che, nel caso di specie, passerebbe da socio di maggioranza a unico, con l’attivazione del particolare regime disciplinare previsto per le società in house”.
L’operazione trae origine da una precedente decisione dell’Ente locale di procedere con l’affidamento di un servizio in regime di mercato, tramite una società mista, “per cui bandire una gara a doppio oggetto” che, a seguito dell’analisi del disposto normativo di cui alla l. 145/2018 (legge di bilancio 2019), è stata rivista, orientando l’Amministrazione verso la realizzazione di un organismo in house.
Il Collegio ha però rilevato “molteplici e complessivi elementi di incoerenza con i precetti di ‘necessità’ e ‘sostenibilità finanziaria’”, con particolare riferimento alla “scelta del modello gestorio in house”.
In primis i giudici hanno chiarito che quanto esposto dal Comune rispetto alla legge di bilancio 2019, ovvero che la stessa “concorrerebbe a rendere ‘relativamente necessario’ il ricorso” al modello organizzativo delle società in house, risulta infondato “per dimostrare la necessità di cui all’art. 5 del TUSP” poiché riguarda “una fattispecie diversa” rispetto quella oggetto di analisi.
Ai fini di “riscontrare la necessità del ricorso alla costituzione di società in house, finalizzate, come nel caso di specie, al dichiarato fine di pervenire a un affidamento diretto”, è essenziale rispettare le disposizioni di cui all’art. 192 del Codice dei Contratti Pubblici, “il quale opera come parametro interposto dell’art. 5, commi 1 e 3, del Tusp”. Nel merito il Collegio ha rammentato infatti che “non esiste nessuna preferenza né logica né ordinamentale per la costituzione di organismi in house nella forma di società partecipate”, invero “sulla base dell’art. 192 del codice dei contratti, … il ricorso all’in house presuppone il riscontro di due condizioni: a) la dimostrata incapacità del mercato di offrire il servizio de quo alle medesime condizioni qualitative, economiche, di accessibilità, garantite dal gestore oggetto del controllo analogo (fallimento del mercato); b) la sussistenza di specifici benefici per la collettività derivanti dall’affidamento diretto in house, come già detto, concretamente dimostrati.”.
“Nel caso di specie”, ha specificato la Corte, “le condizioni non sono state dimostrate”, dunque “la scelta per la costituzione di una società in house (in uno con l’obiettivo del futuro l’affidamento diretto) è avvenuta ignorando l’esistenza di un mercato e argomentando, in ogni caso, il suo fallimento sulla base di un astratto favor logico e normativo per l’affidamento diretto (insussistente)”.
Anche le restanti motivazioni addotte dal Comune, ovvero il fatto “che il controllo analogo sarebbe in sé capace di assicurare il miglioramento qualitativo del servizio rispetto a quanto può essere offerto dal mercato”, non hanno superato il vaglio dei giudici contabili, che hanno sottolineato come “laddove la motivazione prova a dimostrare in concreto la preferenza per tale opzione, l’amministrazione si avvale di una comparazione virtuale logicamente viziata”, in quanto:
- "il raffronto tra le offerte di mercato utilizzate come proxy appare irragionevole, poiché la comparazione non tiene conto di elementi necessari, con l’effetto di rendere i risultati” delle valutazioni dell’Ente “inattendibili e iniqui”, poiché le citate offerte sono basate su un “diverso contesto giuridico (lex specialis di riferimento) e temporale (situazione di mercato, durata della commessa)”;
- non viene tenuto conto del “vantaggio competitivo derivante dalla posizione di mercato dell’attuale concessionario”;
- sono del tutto assenti riferimenti sugli attuali problemi finanziari della società partecipata oggetto dell’operazione, sia in merito al “necessario, preliminare, risanamento del bilancio” della stessa da operarsi nel rispetto dell’art. 14 del TUSP, sia riguardo “gli effetti diretti sul bilancio” della società tramite.
Sulla base degli elementi esposti, il Collegio ha ravvisato impossibilità nel fornire un “parere positivo ai sensi dell’art. 5, comma 3, del Tusp, in ordine alla sopra descritta operazione”.