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Concetto di servizio pubblico locale con rilevanza economica

La Corte Conti Veneto, tra le tante, con delibera n. 219/2023 si è soffermata sul concetto di servizio pubblico locale con rilevanza economica.

«… l’art. 2, co. 1, lett. c) del d.lgs. 23/12/2022, n. 201 … definisce in maniera analoga, i “«servizi di interesse economico generale di livello locale» o «servizi pubblici locali di rilevanza economica»: i servizi erogati o suscettibili di essere erogati dietro corrispettivo economico su un mercato, che non sarebbero svolti senza un intervento pubblico o sarebbero svolti a condizioni differenti in termini di accessibilità fisica ed economica, continuità, non discriminazione, qualità e sicurezza, che sono previsti dalla legge o che gli enti locali, nell'ambito delle proprie competenze, ritengono necessari per assicurare la soddisfazione dei bisogni delle comunità locali, così da garantire l'omogeneità dello sviluppo e la coesione sociale”.

Al riguardo, il Consorzio è incorso in un palese fraintendimento della disposizione richiamata, la quale afferma chiaramente che “i servizi di interesse generale” - inclusi i “servizi di interesse economico generale” che rilevano in questa specifica fattispecie - riguardano attività che “non sarebbero svolte dal mercato senza un intervento pubblico”. Nella motivazione, invece, si riconosce che i “servizi rivolti al pubblico di consumatori o utenti” sono svolti in “regime di concorrenza” ammettendo quindi che esiste un mercato concorrenziale che già fornisce i servizi in questione. L’intervento pubblico, tuttavia, sarebbe consentito in presenza di “fallimenti del mercato”, come viene definita dalla teoria economica la situazione descritta dalla norma nella quale le attività “sarebbero svolte a condizioni differenti in termini di accessibilità fisica ed economica, continuità, non discriminazione, qualità e sicurezza”. Tale circostanza non è invece evidenziata nell’atto deliberativo del Consorzio, che avrebbe dovuto Nella disposizione dell’art. 2, co. 1, lett. h), TUSP, indicare tali attività “come necessarie per assicurare la soddisfazione dei bisogni della collettività di riferimento, così da garantire l'omogeneità dello sviluppo e la coesione sociale”. si rinviene nuovamente il riferimento alla nozione di “necessità” in relazione alla soddisfazione di un bisogno pubblico assunto come tale dalle Amministrazioni pubbliche “nell’ambito delle rispettive competenze”. Quest’ultimo presupposto è rafforzato dal riferimento alla “collettività di riferimento” che rappresenta la destinataria di un intervento pubblico in un mercato non in grado di garantire i beni o i servizi a garanzia della “omogeneità dello sviluppo e la coesione sociale”.

Analogamente, il sopra citato d.lgs. n. 201/2022, all’art. 3, comma 1, stabilisce che “I servizi di interesse economico generale di livello locale rispondono alle esigenze delle comunità di riferimento e alla soddisfazione dei bisogni dei cittadini e degli utenti, nel rispetto dei principi di sussidiarietà e proporzionalità.” Pertanto, l’argomentazione contenuta nell’atto presenta, anche in questo caso, una illogicità evidente, poiché la presenza di una “forma di regolazione e di vigilanza amministrativa” non qualifica “automaticamente” le attività svolte dal mercato come “servizi di interesse generale”, rilevando invece, ai finiche qui interessano, solo la definizione ampiamente illustrata recata dall’art. 2, co. 1, lett. h), TUSP e ripresa dal recente d.lgs. n. 201/2022.

Il Consiglio di Stato, con la sentenza 29 gennaio 2019, n. 578, al riguardo ha chiarito “che la decisione di costituire una società, ovvero di conservare o mantenere una partecipazione societaria, forma anzitutto oggetto di una valutazione non automatica, ma naturalmente variabile, perché di ordine eminentemente politico-strategico in rapporto al contingente indirizzo politico-amministrativo fatto responsabilmente proprio - nell'esercizio del potere rappresentativo - dall'amministrazione pubblica riguardo, in primo luogo, ai "bisogni della collettività di riferimento" che spetta ad essa identificare: cioè, in rapporto alla necessità del loro soddisfacimento a mezzo dell'erogazione di un certo servizio o della produzione e fornitura di un certo bene. E sempre che la soddisfazione dei detti bisogni non sia già rimessa alla competenza di un'altra amministrazione pubblica”. Tale valutazione, rileva il Consiglio di Stato, comporta “un superamento delle tradizionali concezioni, soggettive o oggettive, di servizio pubblico, a favore di una concezione funzionale, tale per cui è servizio di interesse generale quel che sia considerabile rispondente alla soddisfazione di un bisogno di interesse generale dal soggetto pubblico che decida di assumerne la gestione”. Assumendo tale nuova nozione di “servizio di interesse generale”, la valutazione dell’Amministrazione diviene, da un lato, maggiormente discrezionale, e quindi da assumere “responsabilmente”, dall’altro assolutamente indefettibile non potendo essere affidata semplicemente ad indicatori sintomatici. La qualificazione di “interesse generale”, poi, va ad aggiungersi (e non a sostituirsi), alla dimostrazione della “stretta necessità” per la comunità di riferimento dell’attività da svolgere in funzione: in tal senso, la motivazione richiesta dall’art. 5 TUSP, deve contenere sia la prima che la seconda argomentazione. …

In conclusione, alla luce delle considerazioni che precedono, le motivazioni addotte nell’atto di autorizzazione in esame risultano carenti della dimostrazione della “stretta necessità” delle attività che si intendono svolgere, non emerge il fine pubblico dell’impresa, e il semplice richiamo ai “servizi di interesse generale” di cui all’art. 2, TUSP per provare l’ammissibilità delle attività stesse, è generico e inappropriato.