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Comunità energetica rinnovabile: la Corte richiama l’attenzione sulle valutazioni di convenienza economica ex art. 5 del TUSP

La Corte dei conti Toscana, esprimendosi su una delibera di costituzione di società consortile a responsabilità limitata per la gestione di una comunità energetica, con deliberazione n. 77/2023/PASP, ha fornito parere negativo rilevando, oltre ad altre criticità, contrasti in merito alla scelta di ricorrere alla costituzione di una realtà societaria, nonché dubbi sulla forma prescelta dall’Amministrazione deliberante, rispetto il “prototipo “comunità energetica rinnovabile””.

In particolare il Collegio ha censurato un’insufficiente istruttoria dell’Ente e, di conseguenza, carente motivazione a supporto delle proprie scelte, rispetto a convenienza economica e compatibilità della scelta con i principi di efficienza, efficacia ed economicità.

La prima problematica viene individuata nella “stretta necessità dello strumento societario” addotta dall’Ente a supporto della scelta che, secondo quanto riportato dai giudici contabili, deriva da un errore di valutazione del socio pubblico, che ha preso “in considerazione la disciplina di settore quale parametro esclusivo per conformare l’azione amministrativa, trascurando, sotto un profilo formale e sostanziale, le previsioni di cui al d.lgs. n. 175/2016”. Difatti, continua la Corte, “Il quadro regolamentare all’interno del quale si colloca l’operazione societaria in discorso è costituito, invece, da una pluralità di disposizioni legislative: alcune specifiche sulle caratteristiche proprie del modello astratto “comunità energetiche rinnovabili”; altre di portata generale prescritte dal T.U.S.P., alla cui osservanza le Amministrazioni procedenti sono tenute ogni qual volta decidano di realizzare una finalità pubblica mediante ricorso al modulo organizzativo di tipo societario. Le eccezioni a tali regole sono espressamente enucleate dal legislatore (ad esempio, società costituite per legge, alcune operazioni per le società pubbliche quotate etc.)” tra cui non rientra la fattispecie in esame. In tal senso l’Amministrazione pare essersi sottratta non solo dai dettami del TUSP, ma anche da quanto dichiarato dalla “Corte costituzionale in materia di oneri motivazionali che devono essere assolti dalle amministrazioni ex art. 5, comma 1, e art. 4 T.U.S.P. in sede di costituzione di società”, risultando assente l’analisi di altri moduli organizzativi per la gestione del servizio in oggetto seppur “la disciplina europea, nazionale e regionale in materia non indica espressamente la “veste giuridica” da attribuire alla comunità energetica rinnovabile, lasciando così libertà di forme.”.

Secondariamente i giudici contabili hanno sollevato alcuni dubbi in merito alla forma “società consortile a responsabilità limitata” adottata dall’Amministrazione, in quanto “non appare superare (…) il parametro della ragionevolezza, proprio in considerazione delle caratteristiche strutturali” proprie del modello comunità energetica rinnovabile. Le peculiarità di quest’ultimo “soggetto giuridico” risultano difatti essere l’autonomia “rispetto ai propri partecipanti”, il “perseguire l’obiettivo principale di fornire benefici ambientali, economici o sociali a livello di comunità ai suoi soci o membri o alle aree locali in cui opera la comunità e non quello di realizzare profitti finanziari”, e la “partecipazione aperta e volontaria”, aspetti non del tutto presenti nella disciplina delle società consortili che, come ricordato dalla Corte di Cassazione, soggiacciono alle regole civilistiche del tipo societario prescelto, ovvero a quanto indicato per le società a responsabilità limitata.

Rispetto alle caratteristiche sopra indicate, le S.c.a.r.l. “sono strutture societarie cd. a capitale fisso” e dunque inidonee a garantire “il principio della partecipazione aperta e volontaria” che richiede “un alto livello di fluidità in ingresso e uscita dei soci”; tale carenza non risulta colmabile nemmeno con l’aggiunta di alcune clausole societarie nello Statuto come operato dall’Amministrazione, in quanto l’inserimento di tali disposizioni “porta a “snaturare” i connotati fondamentali del tipo societario prescelto (i.e., S.r.l.), rendendone dubbia la riconoscibilità rispetto al corrispondente modello legale.”.

Infine parrebbe in contrasto anche il “regime limitato di responsabilità” proprio della forma societaria prescelta, in quanto “il principio della partecipazione volontaria e aperta a tutti i soggetti interessati (consumatori, produttori, nonché produttori che siano anche consumatori, cc.dd. prosumers) e l’espressa menzione dei consumatori, compresi quelli appartenenti a famiglie a basso reddito o vulnerabili, ad opera dell’art. 31, comma 1, lett. d), del d.lgs. n. 199/2021, sembra ammettere come membri della comunità - e, quindi, come soci - anche “soggetti non imprenditori”” ponendo “problemi di compatibilità tra il tipo di società consortile scelto dall’Amministrazione (art. 2615 ter c.c.) e la previsione recata dall’art. 2602 c.c.”.