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Censura su art. 248 Tuel, interessi al termine del dissesto

La Corte Costituzionale analizzerà nelle prossime sedute una censura mossa dal Consiglio di Stato sull’art. 248 del TUEL in materia di dissesto, in particolare sulla norma che consente ai creditori di chiedere gli interessi al termine della procedura di dissesto.

Il Consiglio di Stato solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 248, comma 4, del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) in riferimento agli artt. 3, 5, 81, 97, 114 e 118 della Costituzione.

La disposizione del TUEL censurata prevede che dalla data di deliberazione di dissesto e sino all’approvazione del rendiconto dell’organo straordinario di liquidazione i debiti insoluti a tale data e le somme dovute per anticipazioni di cassa già erogate non producono più interessi né sono soggetti a rivalutazione monetaria. Il rimettente, preliminarmente, esclude di poter aderire all’opzione interpretativa sugli effetti estintivi del pagamento integrale della quota capitale disposto dall’organismo straordinario di liquidazione nella fase di dissesto.

Tale lettura non troverebbe riscontro né nel tenore letterale della disposizione né nell’interpretazione ricavabile dalla giurisprudenza costituzionale relativa a previgente ma analoga disposizione, secondo la quale ogni pretesa creditoria rimasta insoluta nella procedura di dissesto torna ad essere esigibile nei confronti dell’ente locale una volta cessato il regime di sospensione temporanea, strumentale all’attività di rilevazione ed estinzione delle passività, a prescindere che vi sia stato o meno l’integrale pagamento della sorte capitale.

Il rimettente ritiene che tale principio, elaborato sulla base della giurisprudenza costituzionale richiamata e da ultimo espresso nella sentenza n. 269 del 1998, possa essere rivalutato alla luce della sua anteriorità alla riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione, approvata con legge costituzionale n. 3 del 2001, e degli ulteriori interventi normativi che hanno conformato la disciplina del dissesto. Il rimettente ricorda che con la menzionata riforma costituzionale del 2001 i Comuni hanno visto riconosciuta con pienezza la loro posizione di ente pubblico territoriale di base e dalla ricognizione normativa relativa alla disciplina del dissesto se ne desume che la finalità consista nello stabile risanamento dell’ente locale attraverso la rimozione degli squilibri di bilancio che ne hanno causato il dissesto.

Secondo la prospettazione del Consiglio di Stato il regime di inesigibilità solo temporaneo degli accessori del credito, derivante dall’equiparazione sul piano normativo di situazioni ontologicamente diverse, quali il dissesto finanziario degli enti locali e il fallimento dell’imprenditore privato, si porrebbe in contrasto con il principio di eguaglianza. L’effetto di tale ingiustificata equiparazione - considerata la differente finalità della disciplina del dissesto rispetto a quella del fallimento - potrebbe compromettere l’obiettivo della stabile rimozione degli squilibri di bilancio che hanno determinato il dissesto dell’ente locale in quanto l’ente, tornato in bonis, sarebbe soggetto al credito per interessi maturati dopo la dichiarazione del dissesto rischiando di pregiudicare l’equilibrio raggiunto e di rendere necessario un nuovo intervento straordinario a carico della finanza pubblica. Il rimettente prosegue, inoltre, ritenendo che la disposizione censurata violerebbe, sotto altro profilo, l’art. 3 della Costituzione per l’attribuzione al creditore di una tutela che sembrerebbe eccedere i limiti di un equilibrato bilanciamento delle contrapposte esigenze a base dell’istituto del dissesto.

Il regime normativo riservato agli accessori del credito nei confronti dell’ente locale dissestato confliggerebbe anche con il principio di equilibrio dei bilanci pubblici profilandosi il rischio di dissesti in successione, così da compromettere il percorso di ripristino dell’attività ordinaria dell’ente locale una volta rimosse le cause che ne avevano determinato il dissesto.

A tale riguardo, prosegue il rimettente, si configurerebbe anche una violazione del principio del buon andamento. Il Consiglio di Stato evidenzia che la disciplina censurata sembrerebbe svuotare di contenuto il riconoscimento costituzionale degli enti locali e del principio del pluralismo autonomistico di cui all’art. 5 della Costituzione.

Il rimettente, infine, ravvisa una potenziale contrarietà della norma con gli artt. 114 e 118 della Costituzione per il sacrificio a carico della collettività, di cui il Comune è ente esponenziale, sotto il profilo delle negative ripercussioni, tanto sul piano della continuità delle funzioni amministrative che dei servizi pubblici, a fronte della tutela riconosciuta dalla norma al creditore commerciale.

Per il Collegio rimettente la possibilità di rimuovere i prospettati profili di incostituzionalità potrebbe risiedere nel considerare inesigibili in via definitiva, e non solo temporanea, gli accessori del credito nei confronti dell’ente locale, riconoscendo carattere estintivo al pagamento integrale del credito, avvenuto nell’ambito della procedura di dissesto, per sorte capitale e interessi maturati al momento dell’apertura della procedura.



Norma censurata

D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 - Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali

Articolo 248 - Conseguenze della dichiarazione di dissesto

(omissis)

4.Dalla data della deliberazione di dissesto e sino all'approvazione del rendiconto di cui all'articolo 256 i debiti insoluti a tale data e le somme dovute per anticipazioni di cassa già erogate non producono più interessi né sono soggetti a rivalutazione monetaria. Uguale disciplina si applica ai crediti nei confronti dell'ente che rientrano nella competenza dell'organo straordinario di liquidazione a decorrere dal momento della loro liquidità ed esigibilità.