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Calcolo del salario accessorio in presenza di elevate qualifiche nell’ambito di convenzione per la gestione associata dei servizi

La Corte Conti Lombardia ha risposta, con delibera n. 151/2023, ha risposto a quesito di ente locale in materia di trattamento accessorio del personale.

Dopo aver riferito di alcune scelte di gestione associata dei servizi da parte del Comune in convenzione con altre Amministrazioni ha esposto “considerato […] che come tetto di spesa per il salario accessorio delle posizioni organizzative, ai fini del rispetto di cui all’articolo 23, comma 2, del D. Lgs. n. 75/2017, l’Ente ha sempre considerato la sola quota a proprio carico (al netto della compartecipazione degli enti convenzionati) [...] Dato atto che […] in seguito all’introduzione dell’art. 23, c. 2, del D. Lgs. n. 75/2017 (emanato in epoca successiva a quello di avvio delle gestioni associate), attualmente si trova ora a considerare un tetto di spesa […] che non consente non solo di conferire nuove posizioni organizzative, ma nemmeno di finanziare le attuali […] chiede se sia possibile utilizzare come tetto di spesa del fondo delle posizioni organizzative, nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 23, del D. Lgs. 75/2017, la spesa sostenuta nel 2016 […], senza dunque tenere conto delle entrate di compartecipazione alla spesa a carico degli enti convenzionati”.

In primo luogo, è importante ricostruire il quadro normativo e collocare la questione relativa al calcolo del valore delle posizioni organizzative, condivise tra Amministrazioni tra loro in convenzione, nell’ambito del più ampio sistema dei limiti previsti all’ammontare del trattamento accessorio complessivo. L’art. 23, comma 2, del D.Lgs. 25 maggio 2017, n. 75 infatti, individua in modo inequivoco nell’ammontare complessivo del trattamento accessorio del personale dell’anno 2016 il parametro cui le pubbliche amministrazioni devono attenersi ai fini della quantificazione del trattamento economico accessorio erogabile ai propri dipendenti.

Per mera completezza di analisi del quadro normativo, è il caso di richiamare l’art. 33, comma 2, del decreto-legge 30 aprile 2019 n. 34, conv. in l. 28 giugno 2019, n. 58., che, al fine di superare la rigidità del vincolo sancito dall’art. 23, comma 2 del decreto legislativo 75 del 2017, ha inteso adeguare il limite ivi previsto, in maniera flessibile, a un valore medio pro-capite riferito al personale in servizio al 31 dicembre 2018.

Ebbene, a tenore dell’ultimo periodo dell’art. 33, comma 2, del d.l. 30 aprile 2019 n. 34, “il limite al trattamento accessorio del personale di cui all'articolo 23, comma 2, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, è adeguato, in aumento o in diminuzione, per garantire l'invarianza del valore medio pro-capite, riferito all'anno 2018, del fondo per la contrattazione integrativa nonché delle risorse per remunerare gli incarichi di posizione organizzativa, prendendo a riferimento come base di calcolo il personale in servizio al 31 dicembre 2018”.

La giurisprudenza contabile ha avuto occasione di analizzare il raccordo tra l’art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 75 del 2017 e l’art. 33, comma 2, ottavo periodo, del d.l. n. 34 del 2019, chiarendo come la norma sopravvenuta consenta ai comuni, il cui numero dei dipendenti sia aumentato rispetto all’anno-base 2018, di incrementare le risorse per il salario accessorio - incluse le risorse eventualmente destinate alle posizioni organizzative - adeguandole al valore medio pro-capite registrato nel 2018; ciò al fine di rendere possibile una quantificazione del trattamento economico accessorio complessivo in ragione di una spesa destinata a rimanere invariata in quanto ancorata al valore medio pro capite del salario accessorio del 2018 (cfr. deliberazioni Sez. controllo Lombardia n. 95/2020/PAR, Campania n. 97/2020/PAR, Sez. controllo Marche, n. 22/2022/PAR, Sez. controllo Veneto, n. 125/2022/PAR). È stato quindi precisato che attraverso la norma in commento, “superando definitivamente il limite del trattamento accessorio del 2016, e costruendone uno nuovo, a partire dal 2018, si garantisce a ciascun dipendente un valore medio, in caso di assunzione di nuovi dipendenti, tale che all’incremento del numero dei dipendenti, l’ammontare del trattamento accessorio cresca in maniera proporzionale”, cosicché “la norma prevista dall’art. 23, comma 2, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, pur rimanendo in vigore, non deve più essere considerata come valore assoluto da prendere a riferimento” (Sez. controllo Campania n. 97/2020/PAR)”.

Muovendo dalla considerazione che l’art 23 comma 2 del decreto legislativo 75/2017 è ispirato dal principio di invarianza della spesa quando dispone che a decorrere dal 1 gennaio 2017, l'ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale non può superare il corrispondente importo determinato per l'anno 2016, la Sezione ritiene che il valore della spesa da considerare ai fini del rispetto del tetto per il trattamento accessorio delle posizioni organizzative è, nei comuni privi di dirigenza, quello stanziato direttamente in bilancio sempre che il valore della stessa sia corrispondente al valore complessivo contrattualmente previsto da attribuire ai dipendenti titolari delle posizioni organizzative.

Per quanto riguarda il quesito, se sia possibile considerare non il valore effettivo della spesa sostenuta per un dipendente titolare di posizione organizzativa non a tempo pieno (in convenzione con il rimborso ovviamente della quota da parte dell’altro Ente convenzionato per l’espletamento del servizio del dipendente), ma quello virtuale che sarebbe dovuto per il tempo pieno, questa Sezione della Corte ritiene di riscontrare negativamente il quesito, ciò perchè la norma sancisce il rispetto di quanto effettivamente determinato per la costituzione della spesa relativa al trattamento accessorio; ne consegue pertanto, come corollario del principio appena richiamato, che sono da escludere altre soluzioni non compatibili con il principio stabilito dall’articolo in esame.

Operando, invece, nel senso prospettato dal Comune istante, consentendo, cioè, il cumulo di importi che per l’ente interessato non configurano una spesa bensì un’entrata, si consentirebbe un innalzamento fittizio del limite riferito all’entità del salario accessorio, con conseguente elusione delle prescrizioni normative concernenti i vincoli di spesa e della ratio di ripartizione dell’onere del tetto di spesa tra i diversi enti partecipanti.