Avvocatura comunale: i compensi eccedenti il tetto di spesa non sono differibili alle annualità successive
Con ricorso di primo grado alcuni dipendenti di un Comune in servizio presso l’Avvocatura comunale, impugnavano la delibera di Giunta con cui venivano modificati i regolamenti sui compensi professionali e sul funzionamento dell’avvocatura civica.
In particolare, veniva censurato il primo punto della delibera, nella parte in cui, dopo aver stabilito che il “limite per le spese compensate” è costituito annualmente dallo stanziamento di bilancio che non può superare l’importo di € 240.000,00, disponeva che “i compensi maturati che eccedono il tetto annuale non possono essere liquidati nell’annualità successiva” ed il successivo secondo punto, nella parte in cui modificava il “Regolamento sui compensi professionali ai legali della ripartizione Avvocatura” prevedendo, nel riparto della quota di compensi con recupero delle spese legali a carico della controparte, una commisurazione alle risultanze del Sistema permanente di Misurazione e Valutazione delle Performance (cd. “SMVP”).
I ricorrenti lamentavano l’illegittimità dell’ancoraggio alla performance del diritto al compenso, atteso che veniva in rilievo nella specie una componente della retribuzione principale e non accessoria, nonché, l’illegittimità della suddetta previsione di cui al primo punto, in quanto ritenuta in violazione dell’art. 9, comma 6, d.l. n. 90 del 2014 ponendo in essere un’esclusione del diritto al compenso dell’avvocato comunale per un’attività prestata.
Il TAR adito, affermata la propria giurisdizione e respingeva il ricorso ritenendo che l’ancoraggio della ripartizione dei compensi alle risultanze del SMVP fosse legittimo, “stante l’autonomia del relativo organismo di valutazione a tenore del pertinente Regolamento, e le adeguate garanzie del procedimento previsto, oltreché la oggettiva misurabilità e la legittimità degli indicatori di performance all’uopo predisposti dal Comune, considerati anche quelli specifici che ne declinano il contenuto”, mente, in relazione all’ulteriore doglianza, la respingeva interpretando la disposizione della delibera nel senso che la medesima “non dava luogo a esclusione radicale e definitiva della liquidazione dei compensi una volta superato lo stanziamento annuale di bilancio, bensì ne impediva la corresponsione nella sola annualità “successiva” a quella di maturazione del relativo credito”.
Il Comune interponeva appello incentrato sull’appena citata interpretazione della disposizione della delibera impugnata, sostenendo che il Giudice di primo cure avrebbe trascurato la ratio e la lettera della normativa primaria, che è quella di contenere la spesa per attenuare la pressione sulla finanza pubblica. Ratio e lettera che verrebbero disattese accogliendo l’interpretazione fornita dal TAR che differirebbe semplicemente ad annualità successive alla prima le erogazioni eccedenti al tetto di spesa.
Il Consiglio di Stato con Sentenza 4489/2024, in riforma della pronuncia del TAR, ha in primo luogo ritenuto che “la normativa primaria di cui all’art. 9 d.l. n. 90 del 2014 ha la specifica finalità di contenimento della spesa pubblica in relazione all’ammontare dei compensi professionali (cd. “variabili”) corrisposti dalle pubbliche amministrazioni agli avvocati loro dipendenti in correlazione alle attività professionali rese nel difendere in giudizio le amministrazioni di riferimento” (cfr. Corte cost., 10 novembre 2017, n. 236; di recente, Cons. Stato, V, 2 febbraio 2024, n. 1079), ricordando che il trattamento economico degli avvocati pubblici è composto da due diverse voci, l’una retributiva fissa (stipendio tabellare) e l’altra - incisa appunto dal citato art. 9 - attinente ai compensi maturati in ragione dell’attività difensiva svolta in giudizio, di natura variabile e dipendente dalla sorte del contenzioso.
Secondo il Consiglio di Stato “il citato art. 9, comma 6, subordina espressamente la corresponsione dei compensi professionali in caso compensazione delle spese, nell’ambito di sentenze favorevoli all’amministrazione, «alle norme regolamentari o contrattuali vigenti», e ai «limiti dello stanziamento previsto, il quale non può superare il corrispondente stanziamento relativo all’anno 2013»”, pertanto, sul diritto al compenso incidono, sia le norme regolamentari e contrattuali che la previsione generale secondo cui “la relativa spesa non potrà superare quanto già stanziato per il medesimo titolo per l’anno 2013 dalle singole amministrazioni” (Corte cost., n. 236 del 2017, cit.).
Per il Consiglio di Stato, detta ultima previsione, “vale a porre una regola di ordine non esclusivamente temporale, e cioè inerente al quando del pagamento, bensì alla stessa “corresponsione”, quale possibilità di ricevere l’erogazione delle somme” condividendo quanto affermato dalla giurisprudenza contabile secondo cui “l’impedimento alla corresponsione dei suddetti compensi, in caso di superamento dei previsti limiti nell’anno di pertinenza, non consente neppure un differimento della loro corresponsione agli anni successivi” (cfr. Corte conti, sez. contr. Puglia, 22 luglio 2021, n. 120, la quale si richiama anche alle pertinenti norme di contabilità pubblica, di cui al d.lgs. n. 118 del 2011; sez. contr. Molise, 22 settembre 2020, n. 71; sez. contr. Emilia Romagna, 18 dicembre 2023, n. 204).
Il Consiglio di Stato conclude che una interpretazione “orientata alla ratio e alla legittimità delle previsioni impugnate, conduce a ritenere che le stesse, nel prevedere che “I compensi maturati che eccedono il tetto annale non possono essere liquidati nell’annualità successiva”, escludano la possibilità di differire a (tutti gli) anni successivi la corresponsione dei compensi non erogabili nell’anno di pertinenza per il superamento dei limiti annuali”.
In generale, pertanto, i compensi professionali dell’avvocatura interna che esorbitano il tetto annuale di spesa non possono essere differiti ad alcuna delle annualità successive.