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Appalti labour intensive e ritenute: soggetti anche i rapporti "in house"

Con la Risposta n. 118/2021 l'Agenzia delle entrate fornisce una nuova interpretazione del perimetro soggettivo dell'art. 17-bis del d.lgs. n. 241 del 1997 - che reca la disciplina di contrasto dell'illecita somministrazione di manodopera ai rapporti attraverso la verifica del corretto assolvimento delle ritenute - quando il committente è un ente pubblico territoriale.

Nel caso di specie, il Comune aveva affidato ad una società in house dei servizi di facilities management, comprendenti la manutenzione di strade ed edifici provinciali, pulizia ed igiene ambientale, accoglienza e centralino, facchinaggio, gestione autoparco, emergenza neve, servizio verde, rischio idrogeologico, rimozione rifiuti, manutenzione ordinaria e straordinaria impianti fotovoltaici.

L'ente riteneva di essere escluso dalla verifica in quanto la società in house è, sostanzialmente, una articolazione dell'Ente pubblico controllante che, pur assumendo una veste formale di soggetto terzo, rimane inscindibilmente legata alla stazione appaltante, non ravvisandosi alcuna reale alterità con l'Ente pubblico medesimo.

L'art. 17bis riguarda "i sostituti d'imposta sui redditi di lavoro dipendente e assimilati, residenti ai fini delle imposte sui redditi nel territorio dello Stato, che affidano il compimento di una o più opere o di uno o più servizi di importo complessivo annuo superiore a euro 200.000 a un'impresa, tramite contratti di appalto, subappalto, affidamento a soggetti consorziati o rapporti negoziali comunque denominati caratterizzati da prevalente utilizzo di manodopera presso le sedi di attività del committente con l'utilizzo di beni strumentali di proprietà di quest'ultimo o ad esso riconducibili in qualunque forma, di richiedere all'impresa appaltatrice o affidataria e alle imprese subappaltatrici" le quali sono "obbligate a rilasciarle, copia delle deleghe di pagamento relative al versamento delle ritenute, trattenute dall'impresa appaltatrice o affidataria e dalle imprese subappaltatrici ai lavoratori direttamente impiegati dell'esecuzione dell'opera o del servizio."

Con la circolare n. 1/E del 12 febbraio 2020 sono stati forniti i primi chiarimenti. In particolare, con riferimento all'ambito soggettivo di applicazione, con detta circolare (paragrafo 2.2) è stato precisato che sono da escludersi «gli enti non commerciali (enti pubblici, associazioni, trust ecc.) limitatamente all'attività istituzionale di natura non commerciale svolta".

La Risposta ribadisce, anche sulla scorta di quanto già indicato dalla Risposta n. 313/2020 (v precedente news), che "la natura "commerciale" dell'attività svolta dall'ente vada considerata alla luce delle regole previste ai fini delle imposte dirette, a nulla rilevando la natura commerciale ai fini dell'IVA."

Prosegue precisando che "Ai fini della disciplina qui in esame, anche per gli enti territoriali di cui al comma 1 dell'articolo 74 del TUIR è necessario discriminare tutte quelle attività diverse dalle commerciali mutuando i principio contenuti nell'articolo 143 del TUIR per gli «enti non commerciali». In particolare, la disposizione appena menzionata dispone che «non si considerano attività commerciali le prestazioni di servizi non rientranti nell'articolo 2195 del codice civile rese in conformità alle finalità istituzionali dell'ente».

Per l'Agenzia delle entrate, quindi " a prescindere dalla rilevanza ai fini delle imposte dirette dei componenti di reddito relativi ai contratti qui in esame e dai principi adottati dall'ente ai fini dell'applicazione dell'IVA, la disciplina di cui all'articolo 17-bis trova applicazione esclusivamente in relazione alle attività qualificabili come "commerciali" nel senso sopra descritto".

Quanto al perimetro oggettivo, possono rientrare, però, anche gli affidamenti alle società in house in quanto integrano la nozione di "impresa" e l'affidamento avviene tramite il contratto di servizio che, in linea di principio, potrebbe determinare il ricorso al "prevalente utilizzo di manodopera presso le sedi di attività del committente, con l'utilizzo di beni strumentali di proprietà del committente o ad esso riconducibili in qualunque forma".

Nel caso di specie, però, l'applicabilità della disciplina dell'articolo 17-bis è comunque esclusa dalla mancata sussistenza, relativamente all'ambito oggettivo di applicazione, del requisito della proprietà dei beni strumentali. Infatti, i beni utilizzati al fine di eseguire le prestazioni contemplate dal contratto di affidamento di servizi sono di esclusiva proprietà della Società, salvo l'ipotesi straordinaria di ricorso, dietro espressa autorizzazione del Comune, al nolo a caldo presso terzi.

Di conseguenza, poiché secondo quanto rappresentato i beni strumentali utilizzati per l'esecuzione dei servizi affidati non sono di proprietà del committente, né ad esso riconducibili in qualunque forma, non sussistono i presupposti per l'applicazione della disciplina di cui all'articolo 17-bis del decreto legislativo n. 241 del 1997 ai rapporti tra la Società ed il Comune per l'affidamento dei servizi di facilities management.

Permane però, analogamente a quanto commentato in occasione della Risposta n. 313/2020, la "confusione" sulla qualificazione delle attività "commerciali" ai fini IVA o IRES o per altra via dei Comuni. Le interpretazioni dell'Agenzia delle entrate, basate sulla generica definizione di "attività commerciali" e con il riferimento a principi coniati per gli enti non commerciali privati, introducono, di fatto, un terzo genus di attività negli enti locali: quelle rilevanti IVA (per definizione "commerciali") quelle non conformi alle finalità istituzionali (considerate o meno rilevanti IVA) e quelle "istituzionali" in senso stretto.

Nella pratica, risulta difficile individuare attività non rese in conformità a finalità istituzionali da parte dei Comuni - la cui attività è preordinata a finalità pubbliche - se non ricorrendo al diverso concetto di "pubblica autorità" , che qualifica le attività non rilevanti ai fini IVA (salvo che distorsive della concorrenza) o quello di esercizio di "pubbliche funzioni" o "funzioni fondamentali" che risulterebbe, in ogni caso, concretamente difficile da delimitare. Astrattamente, infatti, non rilevando la qualifica IVA o meno, salvo l'ipotesi delle attività di cui all'art. 2195 c.c., i Comuni non possono che esercitare attività "in conformità alle finalità istituzionali", ancorché rilevanti IVA (perché basata su un regime privatistico e dietro "corrispettivi").